24 novembre 2000

Intervista a Julian Schnabel di Paola Nicita

 
Pittore, scultore, regista: Julian Schnabel è un creativo a trecentosessanta gradi, che ha fatto della luce e del colore i campi della sua indagine artistica...

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A Palermo ha presentato “Before the night fall”, l’ultima sua fatica dietro la macchina da presa, che gli è valso due importanti riconoscimenti alla recente Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il Gran Premio della Giuria e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile.
Dopo l’esordio alla regia quattro anni fa con “Basquiat”, Schnabel racconta la storia di Reinaldo Arenas, un poeta cubano omosessuale che pagò con il carcere il suo desiderio di libertà, scappando dall’isola e giungendo a New York, dove, nel 1990 morirà di Aids. Una storia estrema di vita vissuta pericolosamente, così come era accaduto in precedenza con la vita del pittore-graffitista, amico di Warhol e compagno di avventure spericolate.
“Il film-spiega Julian Schnabel – è dedicato ai tutti i cubani esiliati, strappati alla loro terra. Non volevo fare un film politico, ma il periodo in cui si svolgono queste vicende è intriso fortemente da vicende importanti, che non è stato possibile non sottolineare”.

Qual è per te la differenza tra la tua attività di pittore e quella di regista?
“La differenza sta nel pubblico. Quando dipingo il pubblico è molto diverso, è un genere di fruitore che si forma dopo che io ho realizzato l’opera. Per l’arte non è molto importante essere capita subito, è diverso. É una comunicazione non verbale, e quindi va bene anche il fatto che non sia compresa immediatamente, che il linguaggio sia ermetico e non diretto.La pittura deve sorprendere, e questo è valido solo qualche volta per il cinema. Per quest’ultimo, invece, la comunicazione deve essere immediata, lo spettatore non può uscire dal cinema chiedendosi se ha capito bene cosa ha visto. Se dovessi dipingere un quadro dedicato a Reinaldo Arenas, ad esempio, sarebbe certamente un fatto molto più privato”.

Tu tieni ben divise l’attività di pittore da quella di regista…
“Quando ho iniziato a dipingere, trenta anni fa, a New York, tutti parlavano della morte della pittura, dell’avanzare dei video come nuovo e unico linguaggio. Sta di fatto che dopo tanti anni io sono ancora qui. Il video non è né carne né pesce, mi sembra in realtà
limitato”.

Cosa pensi di questa invasione di artisti che fanno video?
“Che i video preferisco vederli seduto. Non ho nessun desiderio di fare video arte. La pittura è pittura, il video è video”.
Ma tra i videoartisti te ne piace qualcuno?
“Tra i giovani mi piace molto Sam Taylor-Wood, anche se il mio preferito in assoluto è Joseph Beuys, che ricercava con una poesia irripetibile e grandiosa il sentimento della natura. In questo lo sento molto vicino allo spirito più profondo delle mie opere”.


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Paola Nicita



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