27 luglio 2025

Al Kilowatt Festival, per ricongiungersi con l’anima innovativa del teatro

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Siamo stati a Sansepolcro per la densissima ventitreesima edizione di Kilowatt, il festival ideato dall’Associazione Capotrave, che si conferma appuntamento fondamentale per la ricerca teatrale e performativa

Threesome, ph Elisa Nocentini

Si è subito immersi nel bel clima teatrale e festivaliero arrivando in un tardo pomeriggio a Sansepolcro, nell’aretino, per vivere, anche solamente due giorni dei nove del Festival, la ventitreesima edizione di Kilowatt, la storica, vivace, sempre innovativa, manifestazione ideata dall’Associazione Capotrave di Luca Ricci e Lucia Franchi, curatori e osservatori attenti nella ricerca multidisciplinare delle arti performative.

Il titolo scelto quest’anno: Un’invincibile estate, tratta dall’omonima poesia di Albert Camus “In mezzo all’inverno, ho scoperto di avere, dentro di me, un’invincibile estate”, intesa dai due curatori, come “…una forza luminosa – l’arte – a cui appigliarsi per trasformare la sopravvivenza in esistenza”. Troviamo subito nella Piazza Torre di Berta la danza urbana dell’energica Pepa Cases, danzatrice, attrice e coreografa spagnola, al centro di un cerchio di persone. Alcune saranno coinvolte lì per lì dal suo sguardo, dalle sue posture imitative, dall’invito a danzare con lei.

POLS, ph-Elisa-Nocentini

Pols è la performance che nasce da suo battito, e cerca negli altri il riconoscimento ad essere tutti liberi e uguali. Nella stessa piazza la bravissima coreografa e danzatrice palermitana, di stanza a Bruxelles, Blanca Lo Verde ha dato corpo e voce a Per-sona, un assolo potente, ad alto tasso performativo. È un corpo posseduto da suoni, da ritmi percussivi e calmi, da pensieri e parole che generano movimenti ed espressioni in continua mutazione, dove la fragilità e la potenza degli arti esplodono e si placano, vibrano e si espandono generando un flusso perenne. Una danza vertiginosa, scossa, oscillante, che inghiotte il corpo stesso e lo restituisce pacificato.

Per-sona di Blanca Lo Verde, ph Elisa Nocentini

Nel più raccolto Chiostro di San Francesco con il palcoscenico al centro, la performance di Mariagiulia Serantoni in AGiTA, con la musica dal vivo di Andrea Parolin, è un’altra intensa relazione tra suono, voce e corpo. Seduta inizialmente sopra due grandi casse acustiche, l’artista di Fattoria Vittadini irrompe lentamente sul palco attivando una modalità di azione che cerca nell’attimo del gesto minimale modi alternativi di esistere, di agire. Nella tensione dell’attesa, della presenza e della sottrazione, è la postura palpitante, sincopata, aggressiva, a interagire con la partitura sonora e rumoristica, costruendo un tempo di interazione vocale che si espande, si fa eco, e diventa grido.

AGiTA, Ph Luca del Pia

A occupare lo stesso spazio è la compagnia La Grive del duo francese Bastien Lefevre e Clementine Laubon, con l’originale Abdomen. Il titolo è riferito all’addome, cardine di una danza molto fisica, ironica, viscerale, ammiccante, che esplora le tensioni dell’individuo con i suoi punti di forza, di bellezza, paure, debolezze. La pancia, quindi, come sede e riflesso delle nostre emozioni. Le felpe arancione indossate dalla coppia, lasciano poi il posto a T-shirt nere sollevate sul petto nudo. Colpendosi allo stomaco, muovendolo, fanno di esso il punto di contatto, di attrazione, di scontro, di controversia, di scoperta, di rivalità, con una divertente, energica, rigorosa costruzione coreografica. Sviluppato inizialmente al suolo, in dinamiche orizzontali, poi in verticali con salti e diagonali ritmate che spingono i danzatori “al limite”, e non solo dei loro corpi, Abdomen assomiglia ad uno sketch, ad un gioco di resistenza, che è un piacere vedere.

Abdomen, ph Luca Del Pia

Il polacco-olandese Wojciech Grudziński con Threesome omaggia le biografie di tre leggendari ballerini dalle vite travagliate: Stanisław Szymański, Wojciech Wiesiołłowski e Gerard Wilk, cresciuti nella Polonia comunista del dopoguerra. Si chiede il performer: “Come possono queste vite marginalizzate essere rivendicate e incarnate oggi? Come possiamo costruire un archivio corporeo selvaggio, mostruoso e illogico della storia queer senza perdere nulla della loro unicità?”. Dopo un inizio di esposizione del suo corpo seminudo in pose scultoree e provocatorie, ispirandosi alla tradizionale danza polacca oberek, e con brevi filmati d’archivio dei tre personaggi che scorrono dietro di lui, Grudziński sconquassa il suo corpo con passi rapidissimi e ritmo sempre più veloce facendo della sua impressionante performance un atto liberatorio, di ribellione e di trasformazione somatica.

Threesome, ph Elisa Nocentini

Molto ricca la sezione Teatro del festival. Tra gli spettacoli visti quello dell’attrice Federica Rosellini, alle prese con una lettura drammatizzata del testo dell’inglese Hattie Naylor, Ivan e i cani. Seduta davanti ad un microfono e ad una consolle, Rosellini si cimenta anche nell’elaborazione sonora di una partitura composita di suoni e parole che restituiscano le atmosfere, le immagini e le emozioni di una “fiaba nera di sopravvivenza e speranza”, con protagonista un bambino abbandonato tra le strade di Mosca che trova rifugio tra un gruppo di cani randagi nei sotterranei della città. Ma il reading, a nostro avviso, si appesantisce sia per l’eccessiva durata del monologo, sia per una restituzione drammaturgica sfilacciata nella resa interpretativa e sonora.

Ivan e i Cani, ph Luca Del Pia

Tra i debutti il nuovo spettacolo di Licia Lanera James, e quello di Elena Borgogni, attrice e regista della compagnia italo-francese De-Mens Théâtre, autrice di Resta! Due diversi microcosmi famigliari intrisi di umanità. In James, tra pianti risate e baci ci si confronta, ironicamente, su paure, amore, arte ed eredità familiare attraverso l’incursione nel pensiero del regista polacco Tadeusz Kantor.

James, ph Luca Del Pia

In Resta!, c’è un nonno, ex capitano di marina, un padre, brillante venditore, un figlio perso in un mondo virtuale, e una donna che nel mezzo si spezza. Coniugando brillantemente fisicità, parola, accenni di danza, il confronto è dentro questo nucleo intrappolato in un circolo di relazioni disfunzionali dove il vuoto affettivo si riverbera di generazione in generazione.

Resta, ph Luca Del Pia

Un più intimo, bellissimo, racconto familiare è, per uno spettatore alla volta, l’incontro a tu per tu con la svizzera Camilla Perini in Je suisse (or not), una performance con lei celata dentro un enorme, tenero, costume di orso bianco, giocattolo legato alla sua infanzia -, che invita a sfogliare un album di ricordi che ripercorre la sua ricerca di appartenenza, tra l’incapacità di dirsi e il bisogno di definirsi.

Un’installazione sonora densamente poetica è Ti volevo dire, della danzatrice e coreografa Raffaella Giordano, allestita nell’ambito del focus a lei dedicato. In una stanza disseminata di piccoli tronchi d’albero, sostiamo perdendoci in mezzo a voci, cinguettii, fruscio di passi tra foglie e suoni della natura, immaginando un bosco. Sono parole care, parole in volo, strappi di memoria e pensieri di amicizia in cammino, tratti da due suoi spettacoli. È un invito ad andare e ritornare con la memoria, a restare nel presente, ad ascoltare, a sentire quello che il cuore ci dice.

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