17 novembre 2021

Collezione Maramotti, tra realtà e finzione nel museo dei Peeping Tom

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La coreografa Gabriela Carrizo porta la teatralità del collettivo belga Peeping Tom all’interno della raccolta di arte contemporanea della Collezione Maramotti, con un progetto site specific

Salito sopra un piedistallo girevole, un vigilante del museo, improvvisamente, con un’emozione fredda sul viso, punta la pistola verso noi spettatori. L’azione ha un chiaro nesso con una nota immagine di cronaca del 2016: quella del fotografo Burhan Ozbilici che immortalò casualmente l’uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia Andrei Karlov, avvenuta durante l’inaugurazione di una mostra davanti ai visitatori. Lo scatto ritrae l’attentatore Mevlüt Mert Altıntaş mentre grida con la pistola in mano dopo il gesto omicida. La sequenza della performance succede dopo lo scontro del custode, in un corpo a corpo, con l’algida direttrice del museo, che non vuole lasciargli portare via un dipinto da lui ammirato. Seguono un urlo, il pianto, degli spari, alcuni sul quadro (rovinandolo), e l’uomo che si accascia disperato sulla pedana girevole. È una delle scene finali, di forte impatto, della performance La Visita allestita dai Peeping Tom, svoltasi dentro gli spazi museali della Collezione Maramotti di Reggio Emilia.

Ogni anno per il Festival Aperto – diretto da Paolo Cantù della Fondazione I Teatri – la Collezione di MaxMara ospita un coreografo di punta della scena internazionale per una creazione site-specific. Scelta ad hoc caduta sul collettivo belga diretto dall’argentina Gabriela Carrizo e dal francese Frank Chartier, vincitori del progetto “Fedora Van Cleef & Arpels Prize”, commissionato dalla Collezione. A loro agio nel lavorare in un luogo familiare per le frequenti ambientazioni di alcuni spettacoli in interni domestici o museali, Carrizo e Chartier hanno immaginato un dialogo tra lo spazio stesso e le opere d’arte esposte, per una riflessione su come l’arte e la realtà spesso si confondano. Già un’altra performance del 2016, Moeder, era ambientata in una sorta di casa-museo, luogo apparentemente reale e quotidiano, coniugato a una visionarietà pittoricamente e cinematograficamente allucinata, che introduceva elementi perturbanti, fra realtà e finzione. Ne La Visita il binomio è amplificato dalla presenza reale e partecipata delle addette alle pulizie e delle guardie di sicurezza della Maramotti che interagiscono con le azioni dei danzatori.

Il pubblico itinerante segue l’ingresso di una turista, una donna orientale, l’unica in visita alla mostra. Si sofferma, prima davanti al quadro di un volto femminile col seno scoperto (La Meditazione, di Francesco Hayez); poi, dopo il forte rumore di uno sparo proveniente dal fondo, la ritroviamo nella sala dove campeggia sospesa la scultura di Claudio Parmiggiani raffigurante una nave lignea. Qui, inginocchiata davanti a una pozza di liquido nero nel quale immerge le mani, la donna si macchia il bianco tailleur, mentre vediamo, sotto le sue gambe, colare l’inchiostro. Impietrita, le verranno in soccorso le inservienti lavandola accuratamente. Una di esse, la più anziana – una componente dei Peeping Tom -, accorrerà ancora verso di lei mentre sosta davanti a un altro quadro in procinto di svenire. Mediante un lungo tubicino attaccato sotto il busto, tra le gambe, e attivato da una pompa ad aria, la visitatrice si dilaterà e sfiammerà gestualmente come un pallone gonfiabile, accasciandosi e rialzandosi, danzando con quel suo corpo snodabile da contorsionista e con smorfie facciali. A inquietare ancora l’atmosfera è il continuo trascinamento di un carrello dal quale sentiamo provenire voci, poi lamenti, come se ci fossero dei corpi vivi, testimoni di vita negata. Sopra vi sono ammassati altri quadri.

 

Appesa o tolta, guardata o privata dello sguardo dello spettatore, cambia la funzione di un’opera d’arte? Muta la percezione che se ne ha, il suo valore? Queste alcune delle riflessioni che, intendiamo, suscitano i Peeping Tom: «Lo spettatore deve accettare la provocazione e la sfida con se stesso cercando di discernere il reale dal fittizio, l’arte dalla quotidianità». A ispirare altre sequenze della performance continuamente rimodulabile nei diversi spazi, è la scena intima raffigurata nella tela di Eric Fischl The Philosopher’s Chair, dipinto che verrà sezionato isolando dalle due figure umane la poltrona ritratta, mentre un altro quadro, successivamente, verrà tagliato dalla cornice.

L’approssimarsi del finale vede una sequenza di movimenti snodati tra i performer fino a che la visitatrice, bloccata in una posa, viene letteralmente fasciata con pellicola di cellophane come una scultura da conservare, e portata via. Il custode, gridando improvvisamente, invita tutti a uscire perché il museo chiude. E ci ritroviamo nell’atrio del museo a guardare, oltre la vetrata con vista nel piazzale interno, un grande falò dove i quadri vengono bruciati. Popolando di suggestioni la nostra mente, con La Visita i Peeping Tom danno vita a una ritualità turbata da un’instabilità percettiva e umana – secondo la loro poetica -, celebrando le esequie di un sistema museale già fiaccato, oltre che dalla pandemia, dalla mercificazione capitalistica dell’arte.

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