08 dicembre 2023

Prima della Scala: a Milano il Don Carlo diventa una passerella politica

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Ovazione a Liliana Segre, il grido di "Italia antifascista": nella serata che inaugura la stagione lirica della Scala, la politica ha rubato la scena al capolavoro di Giuseppe Verdi

Don Carlo alla Scala di Milano

Che la prima alla Scala sia uno dei momenti più glamour di Milano è fatto risaputo, e che il gossip e le polemiche alla serata che inaugura la stagione scaligera facciano più rumore dell’orchestra, anche. “Mi si nota di più se sto in platea o nel palco reale” è il leitmotiv in questo anno di chiusura della “trilogia del potere”, con la messa in scena del Don Carlo di Giuseppe Verdi, diretto dal Maestro Riccardo Chailly, dopo Macbeth nel 2021 e Boris Godunov nel 2022.

Tutto è iniziato quando il sindaco di Milano Beppe Sala ha invitato ad assistere alla Prima la senatrice Liliana Segre, che ha accettato ma chiedendo di potersi sedere in platea per non dover condividere il palco reale con Ignazio Benito Maria La Russa, presidente del Senato. Subito Sala ha proposto di accompagnarla in platea, suscitando non poche polemiche anche se il primo cittadino abbia ribadito come non volesse essere un gesto di polemica nei confronti di La Russa ma “un messaggio politico” di “vicinanza con la senatrice Segre”… Tutto rientrato a poche ore dal debutto, seppur al termine dell’inno di Mameli una voce abbia urlato “viva l’Italia antifascista”. Grandi assenti della serata, per motivi di agenda, Mattarella e Meloni: non accadeva dal 2017 che le due cariche più alto dello stato non presenziassero entrambe alla Prima.

Quindi, è stato il Don Carlos di Verdi a inaugurare, per la nona volta, la stagione lirica del teatro La Scala. Un appuntamento importante per i direttori deel podio milanese, infatti già Tullio Serafin, Arturo Toscanini, Riccardo Muti nel 1992, ultimo Daniele Gatti nel 2008. Ma l’ispirazione di Chailly è stata quella di ripercorrere le due direzioni del suo Maestro Claudio Abbado, nel 1968 e nel 1977, che gli permise di seguire le prove di allora: una attenzione che trasforma lo studio filologico in un omaggio al grande Maestro scomparso. Con la regia di Lluís Pasqual, si conclude il terzo atto della “trilogia del potere”, che ha visto per tre anni la messa in scena “le logiche spietate di chi detiene il potere assoluto contro il popolo degli oppressi e la loro aspirazione alla felicità individuale”, come si legge nel libretto.

La trama è apparentemente lineare: Elisabetta di Valois, figlia del Re di Francia Enrico II e di Caterina de’ Medici, si innamora di Don Carlo, infante di Spagna e figlio di Filippo II. Elisabetta di Valois rimane sempre fedele a suo marito, ma Filippo II, tormentato dalla gelosia dell’amore tra i due giovani e appoggiato dalla Chiesa, vuole la morte di Don Carlo. Ma oltre alla storia d’amore, le linee di narrazione che tratteggiano il dramma sono diverse: il contrasto tra padre e figlio, Filippo II di Spagna e Don Carlo, ovvero il delicato equilibrio del potere sovrano e del sentimento genitoriale. Quella tra opposti schieramenti politici, ovvero Rodrigo simbolo di un politica liberale fondata sulle autonomie e Filippo II incarnazione della monarchia assoluta. Infine la dicotomia tra Stato e Chiesa: figura chiave nel dramma è quella del Grande Inquisitore, simbolo dell’oscurantismo religioso della controriforma, a cui Filippo II chiede appoggio proprio per la morte del figlio.

Quattro ore di opera, filate senza fatica grazie anche al lavoro magistrale di un cast rodato, come il tenore Francesco Meli, già Don Carlo nell’edizione diretta da Chung, la soprano Anna Netrebko nei panni di Elisabetta di Valois, e il baritono Luca Salsi in quelli di Rodrigo. Un plauso anche alle scene firmate Daniel Bianco che hanno reso l’idea di un tempo ricco e cupo allo stesso tempo con l’uso del velluto nero, già simbolo di ricchezza e potere nell’Europa del 1500, ispirate ai grandi artisti spagnoli El Greco, Francisco Goya e Diego Velázquez. Ma se il tema della libertà era il sottotraccia del Boris Godunov nel 2022, il Don Carlos non dà molte alternative, ricordandoci come la democrazia sia un continuo compromesso e che spesso, nonostante i tentativi di ribellione, a vincere sia lo status quo.

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