25 gennaio 2024

Smarrimento, un monologo sullo spazio interiore: le parole di Lucia Mascino

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Dai Delitti del BarLume a Smarrimento: in occasione della tappa del monologo al TeatroBasilica di Roma, con l’attrice Lucia Mascino parliamo di introspezione, serialità e altre dimensioni contemporanee

Lucia Mascino, Smarrimento, ph. Giulia Di Vitantonio
Lucia Mascino, Smarrimento, ph. Giulia Di Vitantonio

Smarrimento, il monologo scritto e diretto da Lucia Calamaro e interpretato da Lucia Mascino, torna a grande richiesta a Roma dal 25 gennaio al 4 febbraio al TeatroBasilica«Smarrimento è stato scritto da Lucia Calamaro – racconta Lucia Mascino –  ma abbiamo iniziato le prove nel salotto di casa mia. Mi disse: “non è finito, ma lo completo man mano che proviamo. Da qui lo stile intimo dello spettacolo: un flusso di pensieri, immagini, all’interno di un tempo che è orizzontale, ma che dentro di noi è abitato da ricordi, proiezioni, pensieri, immagini, i sogni che facciamo. Lo spettacolo inizia con un solo personaggio, una scrittrice in crisi, un personaggio alla Woody Allen che, mentre attraversa questo flusso mentale, coinvolge tutto il pubblico».

Smarrimento, Lucia Mascino, foto Kimberley Ross
Smarrimento, Lucia Mascino, foto Kimberley Ross

Nel testo c’è una frase: “Quando non si riesce a continuare non si può che ricominciare”. La senti tua?

«Ho trovato subito molta aderenza all’idea di questo smarrimento. Ci sono frasi del testo nelle quali mi risento profondamente, anche in questo blocco, quando non si riesce a continuare e non si può fare altro che ricominciare. I processi che Lucia racconta non appartengono solo a me, ma a tutti. Tendiamo tutti a volerci raccontare decisi, determinati, con delle idee chiare, mentre quello che qui fa ridere è il viaggio in quella parte di noi che nascondiamo, il nostro lato un po’ sfigato. Questo spettacolo è un po’ come entrare nei pensieri di una persona».

Come è stato portare Smarrimento in Francia e, soprattutto, a Parigi?

«Fin dall’inizio volevo andare a Parigi con questo spettacolo, perché la scrittura di Lucia è molto adatta a quel mondo. È un testo tragicomico, ma anche elegante e delicato. Quest’anno ho raggiunto due obiettivi: andare a Parigi e tornare a Roma. A Parigi era in italiano con i soprattitoli. È stata un’esperienza nuova perché devi essere precisissima per sincronizzare la scena con le didascalie, mentre in teatro lo spettacolo lo muovi a seconda del momento, del pubblico. È stato bellissimo e vorrei farlo di nuovo in francese».

Lo spettacolo parla del blocco dello scrittore. E il blocco dell’attore? Battute dimenticate, un attacco che non arriva, un’entrata in scena nel momento sbagliato, un attrezzo che si rompe. Qual è l’incubo dell’attore di teatro?

«Non ho mai sognato l’esame di maturità, ma ho sognato una quantità di volte di dover andare in scena e di non trovare il copione che non studiavo da mesi, che non sapevo che c’era quello spettacolo, che me l’ero dimenticato. Nei miei incubi da attrice grido “ma dov’è il copione? qualcuno ce l’ha?” Oppure non ho il costume di scena o mi sto vestendo e in quel momento devo entrare e non sono pronta. Poi in realtà questa situazione non l’ho mai vissuta, ma evidentemente il mio inconscio teme la perdita di controllo».

Al cinema le scene sbagliate le riciclano nei titoli di coda. In teatro come fate?

«Al Parenti di Milano, quando lo spettacolo debuttò prima della chiusura per il covid, una sera non finivo di tossire perché mi era andata di traverso la saliva. Ero sola in scena e nessuno poteva coprirmi. Il pubblico non capiva e pensava fosse parte del copione, perché Smarrimenti è uno spettacolo coinvolgente, un ragionare a voce alta. Sentivo che mi seguivano. Io rispetto sempre il testo, ma mi sono accorta della grande libertà che potrei prendermi se volessi. Ho percepito la pericolosa porta della libertà. Poi ho bevuto, ho preso qualche minuto e lo spettacolo è andato avanti senza spiegazioni: eravamo insieme».

Dopo Roma dove prosegue la tournée?

«A maggio saremo di nuovo, a grande richiesta, al Bellini di Napoli dal 7 al 12 maggio».

Smarrimento, Lucia Mascino, foto Kimberley Ross

Dopo Smarrimenti hai già debuttato con Il sen(n)o, un altro monologo

«Sì, quest’anno ho debuttato anche con un nuovo monologo con la regia di Serena Sinigaglia, che sarà a Milano dal 16 al 21 aprile al teatro Menotti. Un testo diversissimo. Si chiama Il sen(n)o, tratto dall’opera omonima di Monica Dolan. Me lo ha proposto Monica Capuani che lo ha tradotto.

Non è stata né la scrittura né il personaggio a farmelo accettare immediatamente, ma l’argomento. Leggerlo è stato un colpo allo stomaco. Mi sembrava un testo così urgente in questo momento, che l’ho proposto al teatro Carcano di Milano e hanno accettato di produrlo. Parla della manipolazione della nostra identità attraverso le immagini della pubblicità e i social. La domanda che sottende il testo è: il nostro corpo è nostro o è manipolato da quello che la società ci proietta sopra? È un dibattito tra natura e manipolazione della società dei consumi al tempo dei social. Un testo interessante, forte e urgentissimo. Per me questo spettacolo è un’azione politica.

Mentre il testo di Lucia Calamaro mi si confà perfettamente, Il Se(n)no è uno spettacolo difficile, una montagna da scalare; è un testo quasi epico. Sul palco, una psicoterapeuta in un momento di confusione che riattraversa una vicenda. Non c’è uno sviluppo orizzontale, cronologico: per i primi dieci minuti il pubblico non capisce dove sto andando; poi, piano piano, si avvolgono le spire di questa materia calda, attuale, con un grido di allarme che emerge da dentro. C’è una frase: “lo sviluppo naturale dell’identità parte dall’interno verso l’esterno, da come l’inconscio reagisce agli stimoli delle esperienze reali”. Invece noi siamo bombardati dall’esterno e la percezione della nostra identità è continuamente tumefatta. Ci mettiamo in posa nei selfie perché abbiamo bisogno di uniformarci a un’immagine. E tutto questo si ripercuote addirittura sui bambini. Il Se(n)no è una drammaturgia che riguarda l’identità di tutti e la sessualizzazione dell’infanzia».

Chi viene in teatro perché ti vede in tv ne I delitti del BarLume, come reagisce? La televisione è un’arma a doppio taglio?

«Secondo me no. In Smarrimento sono diversissima dalla commissaria Fusco, una donna forte, decisa, cinica, tagliente. Ma se al pubblico piace ciò che vede, sono soddisfatti. Ho ringraziato tanto il BarLume facendo Smarrimento perché sono arrivate tantissime persone e tantissimi ragazzini che magari non sarebbero mai andati a teatro».

Ti sei mai chiesta perché I delitti del BarLume, con una donna in mezzo a un gruppo di vecchietti, in un paesino sperduto, abbia avuto un simile successo nonostante competa con le grandi serialità statunitensi?

«Me lo sono chiesto spesso e ho pensato che è una serie poliziesca, leggera, che è anche stramba. Secondo me il pubblico è stanco di questi eroi muscolosi, tatuati, con le pistole. L’idea che i protagonisti siano quattro pensionati che giocano a carte, in un mondo dove tutti noi siamo un po’ sfigati come lo sono i personaggi dei fratelli Coen, un po’ sghembi, alle prese con problemi quotidiani, umanamente incasinati, rende la serie understatement. È poi una commedia che non segue le aspettative del pubblico. Spesso c’è una ricetta fatta a tavolino per cui uno dice: il pubblico vuole questo e allora io faccio così. I delitti del BarLume ha momenti seri, altri demenziali, comici, altri ancora surreali; una sceneggiatura che va da Una pallottola spuntata a La signora in giallo; è un equilibrio di tante libertà che ha una leggerezza sincera. Per questo, secondo me, dopo dieci anni stiamo ancora bene insieme e qui sta la sua forza. C’è poi la maestria di Roan Johnson,  il regista, e un cast dove sono tutti anche autori, da Corrado Guzzanti a Filippo Timi: una serie con un gruppo stranissimo di interpreti di grande qualità, dove tutto è giocato sull’understatement».

Quando ad agosto sei arrivata al Ginesio Fest, dove Filippo Timi era l’artista in residenza dell’edizione 2023, Filippo si è illuminato, come fosse finalmente arrivata la sua famiglia. È come se all’improvviso non si fosse più sentito solo…

«È bellissimo sentirlo e anch’io vivo, nella complessità dei rapporti, questa sensazione. Con Filippo siamo cresciuti insieme e siamo un po’ famiglia. Anche per me lui rappresenta un punto fermo, l’amico che sai che c’è nelle burrasche, nelle variazioni delle della vita. Ci conosciamo da quasi trent’anni, tantissime repliche fatte insieme, momenti di vita difficili, ma questo guardarsi e sentirsi, riconoscersi, c’è stato quasi subito. Anche a me lui mi scalda. Poi non è sempre rosa e fiori, i rapporti sono complicati, cambiano, ma alla fine Filippo è la persona che mi dà conforto sapere che c’è. Un uomo di grande sensibilità, buono, che sente. Noi sappiamo cosa pensa l’altro, siamo empatici, piangiamo per gli stessi film, per le stesse scene; ci somigliamo nella nostra diversità».

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