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Il Teatro delle Briciole di Solares Fondazione delle Arti porta sul palco del Teatro al Parco di Parma Tony Pagoda, lo spettacolo tratto dall’opera di Paolo Sorrentino. Ritorna in scena uno dei personaggi più emblematici, scaturiti dalla mente del grande regista e autore: il cantante da night club napoletano, fragile e smisurato, protagonista di un’odissea emotiva sospesa tra successo, disincanto e nostalgia. In scena, il 24 e 25 ottobre, Iaia Forte interpreta Pagoda in quella che il critico Rodolfo Di Giammarco ha definito «Un’adorabile trasformazione cialtrona». Accanto a lei Anita Fiorello.
Sulle note di Pasquale Catalano e Peppino Di Capri, lo spettacolo, prodotto da Argot Produzioni in collaborazione con Pierfrancesco Pisani e Isabella Borettini per Infinito, assume le forme di un concerto narrativo, ambientato nella New York degli anni Cinquanta. Tony Pagoda si prepara a esibirsi al Radio City Music Hall davanti a Frank Sinatra. Tra alcol, cocaina e romanticismo, riaffiorano ricordi, amori e disillusioni, in un flusso di coscienza ironico e struggente che alterna cinismo e tenerezza.
Nato dalla penna di Sorrentino e già incarnato da Toni Servillo nel film L’uomo in più, Pagoda ha conosciuto una seconda vita letteraria nel romanzo Hanno tutti ragione e, con Iaia Forte, trova ora una sembianza teatrale intensa. L’attrice, che aveva già portato in scena nel 2014 una prima versione dello spettacolo da lei anche diretto, ne esplora oggi le risonanze più intime e universali. «Questo cantante cocainomane, disperato e vitale, è una creatura così oltre i generi che può essere, a mio avviso, incarnato anche da una donna. Mi piace immaginare che il ghigno gradasso di Pagoda nasconda un anima femminile, una “sperdutezza”, un anelito ad un’armonia perduta», spiega Forte.
Pagoda è infatti un antieroe che canta l’amore e la sconfitta, la gloria e la malinconia, con una lucidità disperata e irresistibile. Dopo l’ebbrezza americana di Tony Pagoda – Ritorno in Italia, lo ritroviamo ora in un nuovo capitolo del suo viaggio: un uomo che, tra fiumi di champagne e lampi di verità, continua a interrogarsi sul senso della vita e dell’arte, con il sorriso amaro di chi sa che, come direbbe lui stesso, «Se a Sinatra la voce l’ha mandata il Signore, a me l’ha mandata San Gennaro».














