24 gennaio 2007

fino al 27.I.2007 Scott Myles Torino, Galleria Sonia Rosso

 
In un gioco di rimandi con Laurence Sterne, l’installazione di Scott Myles mette alla prova lo sguardo del visitatore, il suo cervello e i suoi canoni di comunicazione. Uno straniamento allegro e salutare...

di

Come già altre volte in passato, in occasione della sua seconda personale alla Galleria Sonia Rosso, Scott Myles (Dundee, 1975) si rifà interamente ed esplicitamente ad un altro artista (in questo caso si tratta di Laurence Sterne, scrittore inglese vissuto nel Settecento, in passato dell’architetto statunitense Robert Venturi e dell’artista cubano Felix Gonzales Torres). Non si tratta di una semplice citazione, e nemmeno di un omaggio. Salta agli occhi, nel caso di Sterne ancora più che nei precedenti, come questi riferimenti forniscano un’ulteriore chiave di lettura, un approfondimento indispensabile per comprendere l’opera di Myles, la sua poetica.
Con le fotografie e le sculture (a terra e a parete) di questo allestimento, si ripercorre tutta La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, romanzo atipico in nove volumi che spezza i canoni della narrazione. L’opera non ha una trama definita, racconta solo una parte dell’infanzia del protagonista, lanciandosi in digressioni e associazioni di idee così libere che è stato associato agli ipertesti contemporanei. Perfino graficamente questo testo è denso di scherzose stranezze: simboli, trattini e segni ortografici utilizzati in maniera alternativa, una pagina tutta bianca, una nera, e una marmorizzata (ripresa da Myles nelle sculture a parete). Oltre che per il colore, le “mensole” richiamano il testo per la loro intrinseca assurdità: sono dei piani spioventi che sembrano suggerire e negare ad un tempo l’idea di un appoggio, di una qualche funzionalità. E spingere a vedere qualcosa di ulteriore rispetto alla semplice evidenza. “Ho sempre tenuto a confondere le idee al mio lettore così da metterlo in condizione di non indovinare niente”, diceva Sterne. Ma anche “sopportatemi e lasciatemi raccontare la storia a mio modo: e anche se avrete talvolta l’impressione che Scott Myles, Untitled, 2006, Courtesy Galleria Sonia Rosso divaghi e perda tempo per la strada, o mi comporti più di una volta come un pazzo, non andatevene via!”. Tra l’altro, Shandy, in una forma dialettale, significa proprio pazzo.
Il testo è rievocato dal principio alla fine, letteralmente: le fotografie esposte altro non sono che le rielaborazioni della vista al microscopio di I (io), prima parola del primo capitolo (ed è rievocata anche nella scultura a terra), e del punto finale del romanzo. Per sottolineare il procedimento di associazione di idee che è alla base del libro, lo si è spesso paragonato alle macchie di Rorschach, e sono queste che vengono subito in mente guardando queste fotografie. Il cerchio si chiude. O, meglio, si apre: a nuove associazioni di idee, a visioni che si spalancano e rimbalzano le une sulle altre. Si tratta di un non-sense che di senso ne ha da vendere: “ci si stanca a cercar sempre il riposo”, diceva Sterne, e il riposo cerebrale, oltre che stancante, può diventare molto pericoloso.
Il grave problema della difficoltà di comunicazione fra esseri umani, legato a doppio filo a quello del linguaggio da adottare, trova una via di fuga nelle libere associazioni, nel flusso di coscienza, (e qui Sterne si rifà a Locke), condito da una massiccia dose di buon umore.

annalisa rosso
mostra visitata il 16 gennaio 2007


Scott Myles – Grey Matter
Galleria Sonia Rosso, via Giulia di Barolo 11/h – Torino
dall’11 novembre 2006 al 27 gennaio 2007
orario: dal martedì al sabato, 15-19
tel/fax +39 011 8172478
info@soniarosso.comwww.soniarosso.com


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