Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
07
novembre 2008
fino all’11.I.2009 Matthew Barney Torino, Fondazione Merz
torino
Mostri color pastello. Dive dell’aldilà drammatico. Ninfe in vasche di ghisa. Saltatori con pennello e vernice. L’immaginario di Barney investe Torino con una rassegna video antologica. Una personale creata per prendere visione, più che per celebrare miti...
di Ginevra Bria
Tutti lo vorrebbero divus formosus, e bello e irresistibilmente complicato per poter vedere soltanto quel che c’è. Ma a Torino Matthew Barney (San Francisco, 1967; vive a New York e Reykjavik) stupisce per fama contraria. L’artista americano esce dal linguaggio dello sguardo, dalla cifra della distanza che gli sarebbe assegnata per diritto, e fa un passo in più. Un movimento di pensiero che produce uno scarto, un gradino che gli permette di auto-rappresentarsi senza riflessi perduti. Mostrandosi infine un artista che ricrea se stesso to feed its own creatures, per rigenerare, per rivedere e dialogare con i tanto attesi mostri della coscienza.
Nel capoluogo piemontese Barney non è e non sarà solo chiamato a progettare la sua personale (dal sapore antologico) alla Fondazione Merz, ma darà forma a quattro appuntamenti diversi. Una rassegna cinematografica al Museo Nazionale del Cinema, mentre ha già presenziato a un workshop con gli studenti dell’Accademia Albertina di Belle Arti e al convegno organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Torino, componendo infine un video documentario promosso dalla Film Commission.
“L’idea, è stata proprio quella di invitarlo a collaborare a un progetto dove fosse lui in prima persona a mettersi in gioco, entrando in relazione con la città”, ribadisce la curatrice Olga Gambari.
“Un laboratorio composto da più punti di vista, dove venissero analizzate le sue molte contaminazioni creative, e in cui il dialogo fosse esteso a un coro variegato, a partire dagli studenti. Qualcosa che non scivolasse sulla città, senza relazionarsi né lasciar tracce”.
All’interno dell’ex stabilimento Lancia si capisce con facilità che nulla attraverso Barney scivola senza diventare segno e segnale di cambiamento. Negli spazi della Fondazione Merz è stata inserita una grande installazione site specific, collocata in posizione centrale, che proietta su cinque monitor in simultanea i film della serie video di Cremaster (per amor filologico: il cremaster è il muscolo che riveste i testicoli e che permette la contrazione dello scroto per innalzare la temperatura interna o espellere lo sperma).
Una lunga serie di altri schermi giganti, posizionati lungo il perimetro della Fondazione, propongono invece i capitoli numerati di Drawing Restraint (letteralmente “impedimento al disegno”), girati filmici che hanno accompagnato i percorsi espositivi europei di Barney a partire dal 1993-94. Da curiosare la serie dedicata alla figura della moglie Bjork: è lei infatti al centro di alcuni Drawing Restraint, inscenando l’uomo che si supera solo, in fondo, per essere se stesso.

Questi due cicli vengono presentati insieme per la prima volta, come se fossero diari visivi e visionari che hanno imbevuto e allargato l’immaginario inconfondibile dell’artista americano. Con il video Drawing Restraint 15, inoltre, Barney mette in mostra anche una serie di disegni, racchiusi in particolari teche scultoree.
Nel capoluogo piemontese Barney non è e non sarà solo chiamato a progettare la sua personale (dal sapore antologico) alla Fondazione Merz, ma darà forma a quattro appuntamenti diversi. Una rassegna cinematografica al Museo Nazionale del Cinema, mentre ha già presenziato a un workshop con gli studenti dell’Accademia Albertina di Belle Arti e al convegno organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Torino, componendo infine un video documentario promosso dalla Film Commission.
“L’idea, è stata proprio quella di invitarlo a collaborare a un progetto dove fosse lui in prima persona a mettersi in gioco, entrando in relazione con la città”, ribadisce la curatrice Olga Gambari.
“Un laboratorio composto da più punti di vista, dove venissero analizzate le sue molte contaminazioni creative, e in cui il dialogo fosse esteso a un coro variegato, a partire dagli studenti. Qualcosa che non scivolasse sulla città, senza relazionarsi né lasciar tracce”. All’interno dell’ex stabilimento Lancia si capisce con facilità che nulla attraverso Barney scivola senza diventare segno e segnale di cambiamento. Negli spazi della Fondazione Merz è stata inserita una grande installazione site specific, collocata in posizione centrale, che proietta su cinque monitor in simultanea i film della serie video di Cremaster (per amor filologico: il cremaster è il muscolo che riveste i testicoli e che permette la contrazione dello scroto per innalzare la temperatura interna o espellere lo sperma).
Una lunga serie di altri schermi giganti, posizionati lungo il perimetro della Fondazione, propongono invece i capitoli numerati di Drawing Restraint (letteralmente “impedimento al disegno”), girati filmici che hanno accompagnato i percorsi espositivi europei di Barney a partire dal 1993-94. Da curiosare la serie dedicata alla figura della moglie Bjork: è lei infatti al centro di alcuni Drawing Restraint, inscenando l’uomo che si supera solo, in fondo, per essere se stesso.

Questi due cicli vengono presentati insieme per la prima volta, come se fossero diari visivi e visionari che hanno imbevuto e allargato l’immaginario inconfondibile dell’artista americano. Con il video Drawing Restraint 15, inoltre, Barney mette in mostra anche una serie di disegni, racchiusi in particolari teche scultoree.
articoli correlati
Barney e Beuys da Guggenheim a Venezia
ginevra bria
mostra visitata il 30 ottobre 2008
dal 30 ottobre 2008 all’undici gennaio 2009
Matthew Barney – Mitologie contemporanee
a cura di Olga Gambari
Fondazione Merz
Via Limone, 24 (Borgo San Paolo) – 10141 Torino
Orario: da martedì a domenica ore 11-19
Ingresso: intero € 5; ridotto € 3,50; gratuito ogni prima domenica del mese
Info: tel. +39 01119719437; fax +39 01119719805; info@fondazionemerz.org; www.fondazionemerz.org
[exibart]







.jpg)

.jpg)
.jpg)


bravissima olga gambari. portare a torino un artista di questa fama è stato un bel colpo. potere vedere tutto il lavoro di matthew barney in italia è capito solo in poche occasioni.
La recensione è una buffonata, come la mostra d’altronde.
Il signor Matthew Barney che per la cronaca ha bidonato anche la conferenza di presentazione della sua stessa mostra; ha allestito alla fondazione Merz l’esposizione piu insipida e anonima, come non mi sarei mai aspettato da un artista del suo calibro.
Le opere rimangono spesso stupende ma la fond. Merz pecca su più fronti. Invita un peso massimo dell’arte contemporanea e lo espone su un solo piano (dei 3 a disposizione) esponendo 20 televisori (che di gigante non hanno nulla…anzi) e circa 15 disegnini. Nemmeno un istallazione e dire che la signora guggenheim l’estate scorsa aveva esposto numerose sue istallazioni d’impatto, a Venezia.
PENOSA…
conosco bene matthew barney e conosco alla perfezione il suo pensiero su questa mostra a torino. chissà come mai non ha voluto rilasciare interviste? domanda inutile no?
riempe bene la bocca di tutti avere matthew barney, ma poi ci si lamenta che i nostri giovani artisti non vengono considerati dalle istituzioni, che poverini nessuno li sostiene.
tutto patetico.
grande barney che si fa pagare…e suon di quattrini.
rendere brutta una mostra di Barney ce ne vuole… come per De Dominicis lo scorso anno, anche questa personale ha saputo consacrarsi come una delle peggiori ed insipide mai viste.
Chi è il responsabile di tanto scempio?
Deludente e comunque mal organizzata:sala principale troppo luminosa (museo chiude alle 19 ovvero quando fa buio)con poco contrasto e mix di suoni indecifrabile. Sala secondaria così piccola da slogare la cervicale. Onestamente fatta così serve solo al curriculum della fondazione e del curatore. Peccato
fondamentalmente io nn ho capito se la mostra sia stata allestita di proposito cosi’ oppure in effetti nn sia stata presentata granachè bene…sicuramente pero’ vedere 5 video diversi nello stesso spazio nn è geniale e nemmeno il fatto che uno di qusti misteriosamente nn funzioni….e io che ci dovrei anche fare una tesina!!!mah….
Sono dello stesso parere di alice.
E guarda un po’, anch’io ci devo fare la tesina!
avercelo un matthew barney nell’itaglia di oggi
Mi piacerebbe leggere, una sola volta, un’analisi più attenta, semiotica, dei film della serie Cremaster. Ho sempre e solo sentito parlare della loro “bellezza plastica” e delle attitudini “cinematografiche” dell’arte di Barney, ma mai nessuno che parlasse dei video IN SE’. Insomma, poca analisi del significato e anche poca del significante. Lo hanno confermato i singoli gesti e discorsi delle ricche signore all’opening della mostra e all’aperitivo VIP che ne è seguito, pronte a pascersi nel lato trendy dell’evento piuttosto che a lasciar sprofondare l’attenzione nei folletti plastici di Barney, nei cowboys surreali, nella Scogliera dei Giganti e nelle atmosfere degne di un Cronemberg o un Lynch.
E’ vero , pochi si addentrano e si preoccupano di spiegare il senso di quel che la moltitudine può solo guardare e non vedere.
Barney, come Vezzoli e altri del resto, tutti ne parlano e nessuno capisce.
Ricordo, se vuoi approfondire gentile DDE, un’analisi dei film della serie Cremaster in “Era fiction” di Luca Beatrice.
Per Vezzoli invece leggasi “L’età della finzione” di Massimo Melotti.
Con il medesimo titolo…. opera da citare