14 ottobre 2004

fino all’8.I.2005 Non toccare la donna bianca Torino, Fondazione Sandretto

 
Il titolo è quello di un film di Ferreri. E la donna bianca diventa il simbolo dei privilegi dell’Occidente. Emergenti e già affermate, ecco diciannove artiste provenienti da tutto il mondo. Chiamate a riflettere su disagio, emarginazione, discriminazione…

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L’ultima mostra dell’anno alla Fondazione Sandretto getta luce sul ruolo delle donne nelle diverse culture e nei territori dell’arte, quando ancora la società è palesemente incentrata sull’egemonia maschile. Si tratta di una collettiva a tratti provocatoria, eppure –talvolta– anche insperabilmente conciliante, in cui le autrici (diciannove, unica italiana la giovanissima Micol Assäel) si muovono in modo del tutto autonomo nei territori dell’ansia, del dolore e dell’emarginazione. Il titolo è una chiara citazione dell’omonima pellicola del 1974 di Marco Ferreri, di fatto una parodia del genere western che interpreta l’atteggiamento oppressivo e conquistatore della civiltà occidentale.
I lavori di Mona Hatoum (Beirut, 1952), generalmente, hanno un forte impatto sensoriale sul pubblico. Del resto, la stessa artista sostiene che l’opera d’arte debba essere percepita “innanzitutto fisicamente”. Al fine di esprimere la condizione di vulnerabilità di ogni individuo, intesa sia in senso strettamente fisico che morale ed ideologico, gli spazi ordinari sono resi impraticabili, così come gli oggetti del quotidiano inutilizzabili e pericolosi (Doormat II, 2000-1, zerbino di aghi in acciaio).
Parallelamente a quelle della Hatoum, anche le installazioni di Berlinde De Bruyckere (Gent, 1964) sono estremamente incisive dal punto di vista della percezione sensoriale. La femme sans tête (2004, cera) rappresenta il corpo di una donna privata della possibilità di pensare e comunicare. Sfinita ed esangue, la sua carne diventa metafora della sofferenza psicologica e dell’invalidante difficoltà ad esternare il disagio.
Shirin Neshat_Possessed_2001_courtesy fondazione sandretto re rebaudengo
Un legame inscindibile con la terra e le proprie radici, si ravvisa nell’affascinante produzione di Senga Nengudi (Chicago, 1943), che si avvale dell’impiego di svariati elementi naturali combinati ad accessori appartenenti alla realtà domestica e alla quotidianità femminile.
Se molti credono che la pittura contemporanea non abbia più molto da dire, le tele di Marlene Dumas (Kuilsrivier, 1953) dimostrano esattamente il contrario. Sono stridenti, intense, disturbanti, vere e proprie “sindoni della Violenza” (tuona Francesco Bonami in catalogo) pregne di riferimenti più o meno espliciti all’apartheid, all’infanzia, alla sessualità e alla pornografia.
Carmit Gil_Carpet_2004 (detail)_ Courtesy Galerie Frank
Per Shirin Neshat (Qazvin, 1957) sono stati determinanti i radicali cambiamenti avvenuti nell’ambito della comunità islamica, trasformazioni che l’hanno profondamente segnata in occasione del suo rientro in patria dopo numerosi anni di assenza. Possessed (2001) fa parte delle recenti sperimentazioni filmiche di Neshat, in prevalenza fondate su considerazioni di natura esistenziale. Nello specifico, questo video ruota intorno al tema ostico e senza tempo della follia. Paradossalmente, emerge che la pazzia può arrivare a fungere da schermo protettivo, come in qualche modo accade per il chador: che sottrae alla vista, difatti, ma al contempo isola e dunque difende.
Disuguaglianza ed estraniazione, tutto sommato, sembrano consentire una condizione di autonomia altrimenti inconquistabile dalle donne di molte parti del mondo. Del resto, ciò si rivela in linea con quanto emerge dal lavoro di tutte le artiste presenti in mostra, che non desiderano contrapporsi all’identità maschile, bensì dimostrare come la propria diversità possa, e debba, divenire strumento di liberazione.

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Shirin Neshat al Castello di Rivoli

sonia gallesio
mostra visitata il 25 settembre 2004


Non toccare la donna bianca. La liberazione delle diversità
a cura di Francesco Bonami
opere di Micol Assael, Maja Bajevic, Berlinde De Bruyckere, Marlene Dumas, Ellen Gallagher, Carmit Gil, Fernanda Gomes, Lyudmila Gorlova, Mona Hatoum, Michael Helfman, Emily Jacir, Koo Jeong-a, Daniela Kostova, Senga Nengudi, Shirin Neshat, Shirana Shabazi, Valeska Soares, Nobuko Tsuchiya, Shen Yuan
dal 17 settembre 2004 all’8 gennaio 2005
Torino, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, via Modane 16
tel. +039 011 198.31.600
orario di visita: da martedì a domenica 12-20; giovedì 12-23; lunedì chiuso; apertura per le scuole 9-19
ingresso: intero € 5.00; gruppi € 4.00; ridotto € 3.00
catalogo:Hopefulmonster Torino, € 25.00
per informazioni: tel. 011 198.31.600; fax 011 198.31.601; e-mail info@fondsrr.org
www.fondsrr.org


[exibart]



2 Commenti

  1. una mostra inutile, come tutte quelle in cui il punto di riferimento è una qualche similitudine tra gli autori invece che un tema comune alle opere…la fondazione si dimostra priva di idee come la sua fondatrice…speriamo che sia contenta almeno lei

  2. Falso dilemma come anche falso il problema della donna di colore. Per citare il teatro di J.Genet: la donna di colore (serva) indossa la maschera bianca (perché il suo desiderio sarebbe diventare bianca come la sua padrona). Il ribaltamento sociale a favore delle donne non ci sara’ mai e’ solo una utopia! La mostra ha solo quel “valore” di celebrare delle donne artiste a livello internazionale che hanno raggiunto un traguardo nella loro carriera.

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