29 settembre 2011

Modernità a misura d’uomo

 
"Riportare la Danimarca nell’élite internazionale del design": questo lo slogan lanciato del Ministero dell’Economia danese. Per noi italiani, che come i danesi abbiamo dovuto rendere punti di forza la creatività, la qualità del prodotto, l’industria di trasformazione e quindi l’arredamento, vale la pena riflettere su cosa è successo negli “anni d’oro”, valutare cosa può ancora accadere di positivo in questa nazione votata al design, e monitorare quanto possano essere efficaci le iniziative da “Sistema Paese” nell’attuale panorama mondiale di economie emergenti e mercati saturi...

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Modernità a misura d’uomo e approccio evolutivo. Sono questi i valori che, dal XX   secolo, distinguono il design danese e scandinavo dal modernismo occidentale: la creazione di oggetti nuovi, funzionali, adatti ai bisogni della società attuale, ma nati dall’evoluzione degli oggetti ereditati dal passato e da altre civiltà, anziché dal totale rifiuto modernista della tradizione manifatturiera.
Un design che, anziché focalizzarsi sulla polemica antistoricista, continua a concentrarsi sul comfort degli oggetti, su forme e dimensioni organiche ed ergonomiche, sulla usabilità, sull’utilizzo preferenziale dei materiali naturali. Un “modernismo umanizzato”, come è definito dalla recente storiografia.
Questo approccio evoluzionista e umanistico, d’altra parte, non ha impedito ai designer danesi di trovare soluzioni innovative e di eccellenza tecnica, come il paralume a tre stadi di Poul Henningsen degli anni ‘20, il compensato curvato delle sedie di Arne Jacobsen o l’invenzione dello stampaggio a iniezione in un solo pezzo della sedia Panton, negli anni ‘50.
Seppure il successo internazionale arrivi già negli anni ‘20, con gli argenti di George Jensen e le lampade PH di Poul Henningsen prodotte da Louis Poulsen, è negli anni ’50 e ‘60, quando imprese e designer sono finalmente organizzati per la produzione seriale, che il design danese crea quegli arredi destinati a diventare vere e proprie icone del XX secolo: gli oggetti disegnati da Kaare Klint, Poul Henningsen, Arne Jacobsen, Finn Juhl, Hans J. Wegner, Mogens Koch, Børge Mogensen, Jørn Utzon, Poul Kjaerholm, arrivano ai consumatori di un’epoca nuova, che richiede proprio quei prodotti moderni, funzionali, confortevoli ed accessibili.
Inoltre, escludendo Verner Panton e Nanna Ditzel, eccellenti sperimentatori di forme nuove ma con estimatori più selezionati, dalla metà del secolo scorso il vasto pubblico internazionale ha apprezzato il design danese perché ha saputo offrire loro oggetti durevoli e con un fascino classico, senza tempo e senza scadenza.
Il successo internazionale dei prodotti danesi di design ha trovato le sue ragioni anche nelle capacità commerciali e nella visione di alcuni eccellenti imprenditori, dotati di apertura verso l’estero ed insieme determinati ad investire nelle risorse materiali ed intellettuali del proprio Paese.
 

Oggi marchi storici danesi come Fritz Hansen, George Jensen, Carl Hansen & Søn, Fredericia Furniture continuano a produrre le icone del design moderno, ed a garantirsi ancora, con quegli oggetti, un’importante quota del fatturato aziendale e la possibilità di investire su nuovi designer e nuovi prodotti.
Dagli anni Novanta sono nate poi altre aziende di design, come Hay, con tre flagship stores in Danimarca e rappresentanti all’estero, Muuto, con numerosi negozi partner in Europa e USA e distributori in Asia, e Norman Copenhagen, con una collezione distribuita in 77 paesi ed il loro famoso flagship store a Copenhagen, dagli stessi proprietari definito “1700 mq di design di pura follia”.
In Italia le maggiori aziende danesi di arredamento garantiscono la loro presenza, seppure la distribuzione non sia capillare. Fritz Hansen ha uno show-room a Milano e, come Muuto, ha alcuni multimarca in altre città. MC Selvini a Milano e Attik a Roma vendono modernariato danese. Il marchio Bo Concept ha i suoi flagship store a Bolzano, Andria e Roma.
 

A quanto pare però, l’export, la rendita di posizione dei pezzi storici, l’impegno dei giovani designer e le nuove iniziative imprenditoriali non bastano a replicare il successo del secolo scorso.
Avranno fatto questa considerazione quelle aziende, istituzioni e organizzazioni che hanno deciso di unire le forze e sperimentare nuove iniziative per il rilancio internazionale del design danese, come la Copenhagen Design Week, manifestazione biennale che ha visto la sua seconda edizione quest’anno ad inizio settembre, all’insegna dello slogan Think Human e del concorso Index Award, definito dagli organizzatori “il più importante premio internazionale sul tema Design to Improve Life”.
Con una forte sinergia da Sistema Paese, e con l’ambizione dichiarata di “riportare la Danimarca nell’élite internazionale del design”, l’iniziativa è stata prodotta dal Ministero dell’Economia danese, diretta dal Danish Design Centre, e partecipata da organizzazioni, istituti di design e dalle maggiori aziende danesi, soprattutto di arredamento.
L’alto coinvolgimento istituzionale, la qualità organizzativa della manifestazione e il forte investimento di comunicazione internazionale sono indicativi dell’impegno profuso dall’intero sistema in questo tentativo di rilancio culturale e commerciale del design.
Per noi, osservatori esterni ma con lo stesso DNA creativo e produttivo, è sicuramente utile monitorare questi esperimenti sinergici e vedere quanto, nelle attuali condizioni di competizione globale, economie emergenti e mercati saturi, riesca ad incidere l’azione congiunta dei protagonisti politici e sociali di un Paese.
a cura di imma puzio
[exibart]

1 commento

  1. Ottima e veritiera analisi di quanto è alla base del design danese (“…evoluzione degli oggetti ereditati dal passato anziché dal totale rifiuto modernista della tradizione manifatturiera….”). Dimenticate però di dire che il design danese è fermo al palo da più di dieci anni; fanno sempre le stesse cose.

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