05 giugno 2002

Videoarte, un libro per capire quella italiana

 
In occasione della pubblicazione del suo libro sul video d'artista in Italia, approfondiamo con Maria Rosa Sossai alcuni nodi centrali, quali il tema dello spettatore e l'organizzazione creativa degli spazi espositivi nelle mostre di artevideo. E domani una speciale presentazione del volume a Trento...

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Maria Rosa Sossai è curatrice e critica d’arte. Si occupa in modo specifico di video e di nuove tecnologie. Ha curato la mostra VideoLounge, recentemente ospitata dalla Fondazione Olivetti a Roma.
Ed è da pochi mesi uscito per Silvana Editoriale il suo libro Artevideo. Storie e culture del video d’artista in Italia.

All’interno delle sue ricerche nel campo della video arte degli ultimi dieci anni, si è interessata della dimensione dello spettatore che si reca a mostre di artevideo (considerando il fatto che molto spesso nel passato ed ancora oggi, diventa egli stesso il Video Lounge, a cura di Maria Rosa Sossai. simone berti_ video still da_ uno gnocco di terra xV2_ 2000 - 2002realizzatore di un certo percorso creativo, attraverso la manipolazione di interfaccia, di postazioni tecnologiche) in modo da rivelarne le impressioni, le sensazioni, i pensieri?
Il tema dello spettatore l’ho trattato in maniera laterale. Nel libro Artevideo – Storie e culture del video d’artista in Italia ho trattato questo tema a seconda dei periodi e dei vari movimenti artistici, anche se negli anni novanta non si puo’ parlare più di movimenti ma delle singole personalita’ artistiche. Lo spettatore di volta in volta nella fruizione del video cambia aspetto: negli anni settanta lo spettatore aveva un ruolo importante nelle opere a circuito chiuso, penso a Bruce Naumann, Vito Acconci, Dan Graham, Campus ed altri. Qui lo spettatore era parte attiva, la sua immagine veniva registrata e ri-prodotta, rivista sullo schermo in tempi brevissimi, c’era un pensiero specifico sulle categorie spazio-temporali.
Poi invece, la riflessione si e’ spostata più sui media, sui mass media, sull’immagine televisiva e si sono susseguiti negli anni i Festival Video, in cui in realtà i tempi di visione erano dei tempi stabiliti dal curatore, per cui lo spettatore non aveva molta possibilita’ di stabilire i suoi tempi di visione.
Oggi nel 2000 siamo tornati (ma gia’ questo aspetto era presente negli anni novanta), ad una maggiore liberta’ da parte dello spettatore e un esempio può essere il fatto che quattro anni fa ho fatto una mostra come “Sweetie” che ha avuto un certo successo, insieme a Cristiana Perrella che è la curatrice del programma d’arte contemporanea della British School. In quell’occasione avevamo fatto un sezione che era una rassegna video, cioè un video dopo l’altro.
In VideoLounge, la mia scelta è stata quella di resentare le singole opere (oggi non mi verrebbe più in mente di fare quello che ho fatto anni fa), perché secondo me l’opera video ormai ha delle identità totalmente diversificate: alcune opere video si rifanno ad un immaginario di tipo cinematografico come il lavoro di Yang Fudong e Ann-Sofi Siden, dove il riferimento è sicuramente al cinema, mentre invece l’opera di Adrian Paci è un lavoro che potremmo definire di tipo televisivo, si tratta di immagini che vengono registrate in una stazione di polizia durante gli interrogatori.
Quindi il video è un mezzo espressivo talmente ibrido perché è al tempo stesso una forma d’arte ma anche un mezzo di registrazione di tanti momenti differenti, e ha delle funzioni talmente diverse, dalla registrazione di un
evento sacro come la comunione al corso di fitness che trovi in videocassetta al supermercato, quindi il video come mezzo espressivo deve fare i conti con tutte queste realtà.
Tornando all’aspetto trattato all’ inizio dell’intervista, in questo mondo lo spettatore è libero di scegliere i tempi di visione, anche se in qualche modo gli sono imposti perché sono quelli della durata del video vero e proprio. Non è un caso che io abbia scelto dei video brevi, perché secondo me i tempi di attenzione si sono nel tempo accorciati e quindi non e’ più pensabile un discorso come accadeva negli anni settanta, in cui i video
avevano una durata quasi reale, venti-trenta minuti.

Per dirla con de Kerckhove, “…il video, lo schermo televisivo, non parla alla mente ma al corpo” e ancora “…noi interpretiamo gesti, posture ed espressioni viste alla televisione, in video, con una sorta di risposta submuscolare, espressa in termini di tono e tensione dei muscoli”. Concorda con queste affermazioni e se sì, che ne pensa di questo coinvolgimento totale che il media video mette in atto?
E’ vero; sia lo schermo televisivo che di conseguenza il video sono entrati nel nostro immaginario e oggi costituiscono la realtà; gli artisti sono dei sensori di cio’ che accade intorno a loro e quindi captano i cambiamenti in corso, cambiamenti che coinvolgono soprattutto le percezioni sensoriali; d’altra parte sempre più gli artisti scegliono per la presentazione delle loro opere video delle installazioni di tipo cinematografico; es. più proiezioni in un ambiente che avvolgono letteralmente lo spettatore; ciò però allo stesso tempo permette al pubblico una maggiore libertà di movimento all’interno dello spazio espositivo.
La realta’ che ci viene proposta dai media è filtrata da scelte di regia e dalla selezione delle informazioni, determinata spesso da ragioni di mercato; siamo sommersi da un flusso continuo e indistinto di immagini e diventa difficile mettere in atto dei criteri di scelta; le ultime generazioni di artisti sono cresciuti con MTV ed è naturale che adottino i mezzi espressivi del loro tempo; allo stesso tempo sentono l’esigenza di distanziarsi da una perfezione dell’immagine che non è portatrice di valori estetici perché finalizzata in genere all’industria dello spettacolo alle ragioni del marketing; ciò che interessa l’artista è la capacità di operare una critica al sistema dei valori costituiti del consenso.
Da questo punto di vista il video è votato più di altre forme espressive a una funzione specifica di critica del sistema, cosi’ come si e’ strutturato nel mondo capitalistico occidentale. Sono le artiste in particolare che attraverso il video sono state capaci di esprimere un pensiero “diverso” in particolare sulle modalita’ relazionali sia familiari che sentimentali; e credo che la mostra VideoLounge lo abbia espresso chiaramente.

Pensa che in queste opere il legame tra artista, medium e pubblico sia più stretto, proprio a causa delle risposte istintive e immediate sollecitate dalla loro visione?
Il legame è molto forte perché accade attraverso l’immagine, proprio per il fatto che l’immagine video è un sistema a cui tutti noi siamo abituati e più coinvolgente. L’ultima generazione di artisti per esempio è una generazione che si è trovata immersa in un mondo fatto di velocita’, di evoluzione tecnologica, e questo naturalmente ha determinato una familiarita’ proprio con il mezzo espressivo video. Non e’ un caso che si sia andati verso un ritorno del video, il fatto che questa generazione sia cresciuta con le immagini della pubblicita’ ha fatto si’ che la tendenza sia quella della comunicazione istantanea, colorata, vera, reale dei video.
Video Lounge, a cura di Maria Rosa Sossai. anne-sofi siden_videostill da_QMtrailer-the clocktower_1995
Quali aspetti e quali innovazioni della comunicazione video le sembrano più significativi? Questa tecnologia in continua espansione e infinitivamente malleabile per le sue potenzialità, come si fonde con gli altri generi artistici?
Nel libro “Artevideo – Storie e culture del video d’artista in Italia ” – parlo del panorama artistico degli ultimi dieci anni dicendo che, cio’ che caratterizza l’uso del video oggi, è proprio il fatto che sia uno dei tanti mezzi espressivi dell’artista, non c’è una specificità di analisi del linguaggio video. Gli artisti passano dal disegno alla scultura al video con leggerezza, senza preconcetti, senza conoscere necessariamente in maniera tecnica il mezzo, proprio perché ormai il video è utilizzato in maniera sapiente e perfetta dalla pubblicità, dal video clip, arrivando a delle forme elevate di abilità tecnica, per cui l’artista non può competere con tutto questo ed è chiaro che deve giocare su un altro campo, sul senso dell’immagine.

Quali altri sensi può avere oggi l’immagine a parte l’uso commerciale al quale sembra oggi ormai consegnato?
L’immagine, la ripresa video, è il mezzo espressivo forse più riconosciuto dalle persone e più accettato (anche se oggi si registra una certa stanchezza nei confronti dell’immagine), e quindi per esempio c’è un rinnovato interesse nei confronti della musica. Il fatto che molti artisti siano oggi interessati alle esternazioni sonore non è un caso; tanti artisti oltre al video, stanno concependo il suono.
Parlo di suono e non di musica non a caso, perché esso permette di spaziare con le immagini, è molto evocativo e poi ha acquistato una fisicità che prima non aveva e questo grazie anche agli artisti.
Per esempio Brian Eno ha creato “music for airport” : la musica degli aeroporti. C’è una sorta di saturazione visiva che ha dato luogo negli ultimi anni ad una creatività nell’ambito del suono da parte degli artisti, per esempio Carsten Nicolai.

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Katia D’Angelo


giovedì 6 giugno alla Galleria Civica
di Arte Contemporanea di Trento, nella sede di via Belenzani 46. Alle 18 Vittorio Curzel e Orietta Berlanda, discutendone con l’autrice,
presenteranno il libro di Maria Rosa Sossai Artevideo storie e culture del video d’artista in Italia (Silvana Editoriale, 2002). Alle 21,00, a cura di Maria Rosa Sossai e Paola Tognon, sarà proiettato un breve ciclo di video d’artista sul tema della natura e della montagna


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