11 febbraio 2010

visualia_resoconto Netmage 10

 
Anticipando Arte Fiera, il festival perde pubblico ma non lo stile. Tre serate per informarsi sulle derive della sound culture internazionale. Full immersion per occhi e orecchi, con particolare godimento per i padiglioni auricolari...

di

Ciò
di cui tutti sono a conoscenza perché è stato più volte ripetuto, anche su
queste pagine, è che Netmage 10
non ha accompagnato le febbrili nottate fieristiche. Sicuramente si è notata
una flessione di pubblico, ma tutto sommato i partecipanti hanno avuto più aria
da respirare anche nei momenti clou
del festival, cosa impossibile da immaginare quando la concomitanza con Arte
Fiera era d’obbligo. Il 2010 è l’anno del decennale, così anche per il longevo
evento dell’inverno bolognese è tempo di festeggiare la continuità e di
avventurarsi in un bilancio. Ma questo tocca agli organizzatori.
Dal
gustoso e pregevole catalogo, che si arricchisce del progetto di Carlos
Casas
a cui è stata affidata
l’immagine coordinata, si evince che il filo conduttore della curatela è
raccolto nella parola scia. “La
scia è qualcosa come il fantasma visibile di un evento. Non è una condizione
temporale, cioè ciò che viene più o meno immediatamente dopo, come per esempio
l’eco. È piuttosto ciò indica un oggetto, e che ne testimonia il suo movimento
”.
E
gli oggetti ci sono nelle performance che si susseguono negli svariati ambienti
di Palazzo Re Enzo. Recente novità in fatto di spazi è l’Elektrolab, ambiente che ospita il progetto selezionato dal
bando internazionale del duo nordico Rachida Ziani/Dewi de Vree. Un vero laboratorio chimico aperto, che affida ai
sali e agli acidi il compito di creare sia la sonorizzazione che il complemento
visivo, con risultati altalenanti come i valori degli elementi. Dal chimico al
biologico, si viaggia verso Mangrovia,
il mondo-pianta-giardino”, palco
per le situazioni più giovani ed estreme: un salone che per ampiezza non
compete certo con quello del Podestà o Live Media Floor, ma che nelle ultime edizioni si è guadagnato un suo
spazio.
Carlos Casas - Cemetery (Archivi Works) - photo Gaetano Cammarota
L’esperienza
cercata dagli italo tedeschi Cavaliere/Türkosky si basa su di un miscuglio di azione e pausa, di
rumore e silenzio, un’espansione che a tratti ha favorito l’apice dei momenti
salienti e a tratti però si è trascinata troppo a lungo. Ambiziose le ricerche
di Nassa (N. Assor/S. Saraf)
concentrate su una pratica bricoleur
tradotta in video stile “lavagna luminosa” a cui fanno eco una serie di voci
sovrapposte. La materialità dei livelli sovrapposti e letteralmente
attraversati mediante tagli apportati con diversi strumenti (mani, trapano)
creano l’illusione di un percorso tridimensionale, potenzialmente infinito.
Ritorno
agli strumenti, musicali questa volta, per l’ansemble Margareth Kammerer/Andrea Belfi/Stefano
Pilia/Daniela Cattivelli/Michaela Grilli

sul quale molte aspettative erano state riposte. Se i visual sembrano aver
tradito le promesse, il costruito apparato sonoro realizzato con cura, unisce
gli indubbi singoli talenti incrociando noise, post-rock e frammenti melodici
di notevole statura poetica.
Più
che l’oscura atmosfera evocata nel live delle Ectoplasm Girls, colpisce il progetto solista di una costola del
gruppo Nadine Byrne che prende il
nome di The Magic State di cui, apprendiamo
con curiosità, è in uscita un 7” per iDEAL records.
Lee Hangjun/Hong Chulki - photo Gaetano Cammarota
In
generale si notava – e i commenti a caldo lo rimarcavano – che il lato sonoro
mantenesse anche questa volta un livello qualitativo non discutibile, ma che ci
fosse una defezione sul versante visivo. La piena conferma arriva invece dalle Performing
Arts che vantavano la presenza di Vincent Dupont. Hauts Chris (miniature) è uno spettacolo studiato secondo regole canoniche:
si svolge su palco, il pubblico osserva dalla platea, ripercorre uno schema
narrativo. Ciò che stupisce è lo straordinario controllo del corpo che si
aggira con assoluta lentezza tra le mura domestiche della scenografia,
inscenando, attraverso la sonorizzazione di muri pareti e mobili, un crescendo
ansiogeno. All’improvviso la follia esuberante di una sega elettrica distrugge
la serenità apparente delle strutture e irrompe decisa con il suo roboante
frastuono amplificato.
Niente
a che vedere con le distensive note del “grande e vaccinato” Richard
Lainhart
, che da cultore del synth
qual è infonde alla sala e agli astanti lunghe e appassionate vibrazioni. Ma
eccoci al pezzo forte. Dopo un grande maestro, degli indiscussi precursori di
buona parte del panorama musicale attuale e non solo – almeno in termini di
elettronica – i Cluster. Inutile
ricordare gli innumerevoli riconoscimenti, per il taglio della rivista che
state leggendo serva solo sottolineare che Hans-Joachim Rodelius e Dieter
Moebius all’alba della reunion sono stati invitati ad aprire Documenta 12.
Cluster - photo Gaetano Cammarota
La
loro performance è all’altezza della loro fama, anche se in questi casi è
meglio sospendere il giudizio in favore della reverenza. Che dire di più? A
parte tutto, buona anche la decima!

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