04 marzo 2003

Napoli racconta Napoli. Edoardo Cicelyn

 

Questa settimana su Exibart due interviste per fare il punto sul dibattito partenopeo attorno all’arte contemporanea. Politica, nuovi spazi, artisti giovani e grandi maestri. Edoardo Cicelyn, consulente per le arti visive alla regione Campania, parla della sua Napoli. Nei prossimi giorni un’intervista a Lorand Hegyi, il direttore di Palazzo Roccella, la kunsthalle sotto il Vesuvio che aprirà a settembre…

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Napoli, Napoli, Napoli. La città è stabilmente centro del dibattito nazionale sull’arte contemporanea. Come mai queste polemiche continue? Sono sempre positive perché creano dibattito o a volte non servono a nulla?
Sono piuttosto sconcertato dalle polemiche nate intorno alla mostra di Clemente. Non c’è stata un’analisi dell’opera pittorica, il che rivela quanto la critica sia inconsistente dal punto di vista teorico. Si è trattato piuttosto del rancore degli esclusi, da quelli che si sono sentiti, in modo un po’ provinciale, esclusi dall’invito alla cena dopo l’opening. Era materialmente impossibile invitare tutti quelli che volevano partecipare, anche perché gli invitati, direttamente da parte dell’artista, provenivano da tutto il mondo, ed era quindi normale che fossero nostri ospiti.

E’ stato Clemente a decidere di portare le opere di grande formato?
No. E’ il frutto di una scelta curatoriale. Il progetto è nato dalla necessità del recupero delle sale dell’archeologico in un’ala adibita a deposito. Questi locali sono monumentali, di conseguenza il problema era il formato delle opere che sono state scelte assieme all’artista. In questo senso abbiamo scelto di privilegiare una lettura diacronica: la prima sala è importante non per l’esito formale dei due lavori ma perché sono stati i primi che l’artista esegue al suo arrivo a New York, e sono i primi in assoluto di quelle dimensioni. C’è una relazione tra lo spazio e l’opera storica Francesco Clemente dell’artista, è tracciato un percorso attraverso il quale egli arriva al traguardo della felicità espressiva.

C’è la discussione nata intorno alla collezione d’arte permanente del futuro Museo di Arte Contemporanea, trasformatasi in polemica grazie al disaccordo e alle proteste delle gallerie private napoletane…
Il criterio su cui fondare un Museo di Arte Contemporanea deve essere necessariamente di tipo storico – artistico e non pratico operativo. Da qui la necessità di individuare un punto di partenza da cui generare l’ipotesi di una collezione permanente. Il periodo da prendere in esame è quello a partire dagli anni ‘60. In quel periodo uno dei protagonisti del dibattito artistico è Lucio Amelio. Grazie a lui si modernizza la questione delle arti figurative a Napoli, l’incontro pubblico tra Beuys e Warhol crea il cortocircuito tra il glamour dell’arte americana e l’impegno politico dell’arte europea. Questa città diventa il centro focale della dialettica tra le culture dei due diversi continenti.

Ci sono altri protagonisti che lasciano un’importante contributo alla città con le loro opere, oltre a Lucio Amelio, ci sono Nicola Incisetto che invita Nagasawa e Vettor Pisani, Peppe Morra che ci fa conoscere le performance di Hermann Nitsch…
Un altro passaggio cruciale è l’azionismo viennese che si confronta con il gesto americano o tedesco, o anche  italiano. Tutto ciò nasce quando l’arte ha a che fare con la vita e con il comportamento reale nella società, nel momento in cui l’arte sviluppa un ruolo. Ma questo non dà diritti di primogenitura. Del resto non occorre neanche attingere materialmente alla collezione Amelio che ha un altro tipo di vicissitudine. In questo senso è più interessante prendere in considerazione la collezione Sonnabend che rappresenta bene quello scambio tra Europa e Usa costituito dalla promozione intelligente di un collezionismo con l’occhio vigile verso quello che stava accadendo nel nostro continente. Questo poi ci permetterà di non acquisire le opere ma di gestirle con il metodo più diffuso che è quello del comodato d’uso a tJoseph Kosuth, Piazza Plebiscito, Napoli, 2001/02 empo indeterminato. Le gallerie non possono pretendere che l’ente pubblico acquisti le opere da loro, proprio perché la metodologia è diversa e il rapporto con gli artisti storici è diretto, non ha bisogno di mediazioni.

Quale spazio è stato scelto per questo futuro museo?
Stiamo cercando un punto reale di inizio, anche se sarà provvisorio. Napoli è una città complessa, stratificata e densa, per cui lavoriamo da anni su alcuni progetti per individuare gli immobili adatti a questa funzione. Palazzo Roccella, che dipende dal comune, sarà il corrispettivo di una odierna Kunsthalle, mentre la regione si occuperà, entro il 2005, di inaugurare la collezione permanente, in uno spazio che potrà essere portuale, demaniale o regionale.

E il ruolo dei giovani artisti quale sarà?
Poiché rappresento un’istituzione devo far notare che non è nostro compito fare critica d’arte. Non ci muoviamo alla ricerca dei giovani ma delle tracce storiche di quello che è successo negli ultimi trent’anni nel contesto internazionale delle arti visive. Credo, assieme ad Achille Bonito Oliva, di avere una certa cognizione di quello che è accaduto.

Ma non è previsto l’acquisto di opere di giovani artisti?
Il museo deve fare una politica di diffusione della giovane arte. In questo senso la mostra “Napoli Anno Zero” a Castel sant’Elmo è un’indicazione di un percorso credibile della giovane arte italiana. La funzione è q uella di acquisire, non le opere storicizzate, ma le opere dei giovani per promuoverli e sostenerli. Il rapporto con gli artisti storici è diretto, la collezione è pubblica e quindi non richiede un investimento economico.

L’installazione di quest’anno a Piazza del Plebiscito, realizzata da Rebecca Horn, ha destato molte polemiche. Continuerete a stuzzicare l’occhio e il cervello dei Napoletani?
C’è stata una forte strumentalizzazione politica. Politica che ha cercato uno spazio d’azioneRebecca Horn per rompere il rapporto tra Comune e Regione, per cui tutto si è ridotto a una polemica tra me, Bassolino e La Boccetta. C’è stata anche una colpevole e volgare complicità dei massa media che non si sono posti il problema se fosse legittimo o meno che un capo commissione al Comune abbia organizzato una manifestazione di sapore fascista chiedendo la rimozione e la distruzione di un’opera d’arte. Il pubblico si è sempre diviso tra favorevoli e contrari, il dibattito c’è sempre stato anche nelle passate edizioni. Ci sono flussi di persone, di turisti che ogni anno vengono a vedere cosa c’è in Piazza del Plebiscito e questo ha un effetto mediatico interessante.

Come funziona la scelta dei nomi. Cosa vi ha spinto ad optare per Kapoor, Kounellis, Kosuth piuttosto che per altri?
Sono io che li scelgo rispetto a quella che può essere l’attitudine di un artista rispetto all’ambiente. Qualcuno che ritengo sia in grado di dialogare con lo spazio storico. L’intenzione, all’inizio, era quella di creare un grande teatro per l’arte italiana, ecco perché abbiamo iniziato con Paladino, Kounellis, Merz, Paolini per aprire in seguito all’arte internazionale con Rauschenberg, Kapoor, Kosuth e infine Rebecca Horn. Non pretendo di fare nessuna scoperta, non è una scelta discutibile perché la Horn, per esempio, è un’artista capace e più che legittimata dal sistema.
Siete stati accusati di aver speso cifre astronomiche…
Le cifre sono tutte dichiarate, sono cifre normali, non certo superiori a quanto è stato speso per opere del genere, ad esempio Richard Serra ai Fori Imperiali. Intervenire su Piazza del Plebiscito ha di per sé un costo gigantesco a causa delle dimensioni della piazza. Da un lato all’altro misura 170 m, per cui costa anche decidere di appendere una lampadina, occorre un progetto e una soluzione tecnica.

Le dichiarazioni di Gino Agnese presidente della Quadriennale, sono state forti e sparate. Per quale motivo secondo te?
Perché Agnese vuole favorire una politica di assistenza artistica regionale, un programma che vede coinvolte le varie regioni di Italia con una propria Quadriennale “locale” che a Napoli verrebbe ospitata proprio a Palazzo Reale. Non vede quindi di buon occhio l’importanza data a un’artista internazionale come la Horn.

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[exibart]

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