21 luglio 2004

Hegyi. L’ultraeuropeo

 
Per parlare di musei d’arte contemporanea e di progetti museali, abbiamo incontrato Lorand Hegyi. Ungherese, ha lavorato in tutta Europa, dall’Austria a Lussemburgo. Oggi vive tra la Francia, Londra e Roma. Ci racconta in questa intervista il suo recente incarico di direttore al Museo di Saint-Etienne, in Francia. Senza dimenticare il suo imminente impegno partenopeo…

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Come è stato l’approccio con il Museo d’Arte Contemporanea di Saint-Etienne?
A Saint Etienne ho cominciato a lavorare il primo luglio del 2003. Ho pian piano conosciuto il museo, ho conosciuto la collezione che come grandezza è la terza in Francia relativamente all’arte contemporanea. E questa è stata una cosa che mi ha motivato molto. Ho conosciuto anche il precedente direttore, Bernard Ceyssom, che era li da moltissimi anni.

Dove ha portato questa analisi preliminare?
Ho riflettuto sulla localizzazione di questo museo: al centro della Francia, con una grande collezione (basata sul ventesimo secolo e fortissima sugli anni ‘50, ‘60 e ‘70, con una particolare attenzione sull’arte tedesca) vicino a Lione dove c’è una piccola e concentrata collezione e vicino a Grenoble dove c’è un’altra grande collezione.
Ho pensato di sterzare. Di cambiare l’orientamento del museo. Ho deciso di puntare su due cose: l’arte attuale (ora il 90% è contemporaneo stretto) e la grande apertura internazionale.

La precedente direzione non aveva seguito questi passi?
Prima di me il museo di Saint Etienne ha presentato molte mostre storiche sugli anni ‘60 (Informale, ecc). Non si sono occupati davvero sull’arte contemporanea. Una impostazione assolutamente insufficiente per una apertura internazionale e globale. Ed esempio l’ultima mostra era dedicata agli anni Cinquanta e Sessanta (Azionismo, Situazionismo…). Inoltre si tendeva ad una attenzione localistica, con una serie di mostre sul Dopoguerra francese.

Quale sarà la tua strategia?
Vorrei fare ogni anno tre mostre internazionali, tre mostre tematiche tutte collettive, che riflettano la situazione globale con una visione antropologica e cultural-sociologica. Questo è molto importante anche in considerazione del fatto che il museo sino ad ora si è orientato su cose molto diverse. Non voglio obbligatoriamente dare una visione internazionale, ma sono convinto che per dare una visione antropologica non sia possibile fermarsi ad una visione formalistica e nazionale.

Parliamo anche della struttura del museo. Ce lo descrivi? Cosa hai modificato con il tuo arrivo
E’ una struttura di 2400 metri quadri. E’ stato completato nel 1987 in tipica architettura di Anni Settanta e Ottanta con grandi spazi senza muri, con pareti divisorie flessibili. Una parte di 500 metri quadri l’ho separata per la collezione. Quindi all’attività espositiva ora rimane molto spazio. Due volte l’anno sarà rinnovata la collezione permanente lasciando solo una piccola parte stabile (i grandi classici: Picasso, Leger, Le Corbusier).

Torniamo alla progettazione delle mostre…
Si, la parte rimanente del museo la utilizzerò per tre tipi di mostre temporanee: il grande spazio centrale sarà per le mostre tematiche; un grande spazio parallelo al pano terra per una serie di esposizioni di pochi artisti, con poche opere concentrate. E la terza parte è il Cabinet de dessin di 200 mq dove verranno fatte delle presentazioni enciclopediche di disegno contemporaneo. Qui alla ‘prima puntata’ ho invitato Richard Nonas, Denis Oppenheim che ha presentato grandi disegni dal 1982, Barthelemy Toguo e Giulio Paolini.

Che sviluppi avranno queste mostre di disegno?
Ogni anno nel Cabinet ci saranno tre collettive per tre anni. Poi una collettiva finale di 90 artisti partirà per fare il giro dell’Europa partendo dalla Calcografia di Roma.

La tua prima mostra a Saint-Etienne. Settlement. Sottotitolo: cercare un luogo possibile. Come è andata?
Ho invitato 24 artisti con linguaggi e strategie completamente differenti. Più o meno giovane e media generazione. Sia conosciuti sia poco conosciuti. La mia selezione si è rivolta verso gli artisti che creano metaforicamente un luogo, una proiezione mentale, un nuovo contesto dove è possibile vivere creativamente, un modulo abitativo ideale.. Ho detto agli artisti: considera di avere una tenda, di doverla montare e di portare le cose che sono importanti per te. Ogni artista ha insomma creato un suo piccolo mondo.

Lorand Hegyi
Torniamo al museo in generale ed al tuo progetto. Quanto durerà?

Il progetto artistico durerà tre anni. La prossima mostra sarà Passaggio d’Europa, per salutare la Nuova Europa, con artisti che provengono dall’Est.

Un impegno che non ti distoglierà dal tuo ruolo a Napoli. Dove, appena aprirà, dovrai dirigere il centro d’arte contemporanea di Palazzo Roccella
No, anzi. A Napoli non vorrei fare solo mostre. Vorrei fare solo una mostra all’anno, di media dimensione. Vorrei coinvolgere artisti di Napoli e italiani. Non voglio fare come le grandi mostre al Museo Archologco (Clemente, Koons, Kapoor, Serra…): un grande nome e poche opere. Quello è un omaggio. Vorrei invece fare delle mostre di tipo discorsivo, utilizzando artisti giovani ma non necessariamente.

Come risolverai a Napoli la tua voglia di internazionalità?
Vorrei co-produrre ogni mostra tematica con un istituto internazionale; sono convinto che per Napoli non sia sufficiente invitare gli artisti, ma che occorra lavorare con le istituzioni internazionali. La prima mostra sarà in collaborazione proprio con Saint-Etienne; poi con l’IVAM di Valencia in Spagna, e poi con Barcellona (con la fondazione Caixa e con la Fondazione Mirò). Questo permetterà di portare le mostre all’estero, fargli fare due tappe. E per il futuro, con lo stabilizzarsi della Nuova Europa, penso di coinvolgere le istituzioni dell’est.

Palazzo Roccella non sarà un classico centro d’arte contemporanea dunque?
Lo immagino come istituto più professionale, con progetti specifici per lungo tempo. Manca un istituto che faccia sistematicamente queste esposizioni discorsive: non grandi nomi, ma soprattutto programmazione. Manca una istituzione più modesta, ma più profonda e più intellettuale. Palazzo Roccella sarà metà centro d’arte contemporanea, metà centro di documentazione.

Per fare questo occorrerà una collezione…
Una grande attenzione sarà dedicata ai prestiti (quasi) permanenti da parte degli artisti per avere una collezione. Dunque ci sarà una collezione permanente di arte contemporanea che è una cosa che davvero manca a Napoli. Solo con una collezione permanente si può stabilire una coscienza per l’arte contemporanea in città. Qualcosa che resti anche a livello educativo.

L’apertura dello spazio è stata annunciata più volte e più volte rimandata. Siamo all’epilogo?
Se tutto va bene entro un anno (Pasqua 2005) il museo dovrebbe essere pronto. La programmazione per i prossimi due anni è fatta. Anche a Napoli il mio progetto sarà di tre anni a partire dall’apertura del Museo.

massimiliano tonelli

[exibart]

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