10 maggio 2002

fino al 25.V.2002 Francesco Carone – Pennacchio Argentato Napoli, T293

 
La collaborazione tra la galleria T293 e il Palazzo delle Papesse di Siena, con un contributo della Provincia di Napoli, ha dato vita ad un confronto tra artisti emergenti delle due città, negli spazi della giovane galleria partenopea…

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Gli artisti scelti dai due curatori, Massimiliano Tonelli e Paola Guadagnino, sono stati il senese Francesco Francesco Carone, Ap 21,6Carone ed il duo napoletano Pennacchio Argentato. Francesco Carone ha proseguito il disvelamento degli elementi che compongono la sua “nave immaginaria”. Questa è un ideale mezzo di trasporto che viaggia attraverso le metafore e le convenzioni che ognuno di noi utilizza nella vita quotidiana per riuscire a percepire, misurarandola, la realtà altrimenti indefinibile della natura. Un gigantesco metro a fettuccia che corre lungo la facciata esterna del palazzo in cui a sede la galleria è il simbolo di una realtà che per essere comunicata o trasmessa a chi non può vederla direttamente per distanza spaziale o temporale (qui si chiarisce il senso della nave) deve essere misurata, quantificata. Cinque alambicchi di vetro di forme differenti contengono ognuno un gas puro diverso: ogni forma di vetro simboleggia una sostanza diversa che, inodore ed incolore, non sarebbe altrimenti percepibile che per “forme simboliche”: quelle dei contenitori appunto. Il suo lavoro più interessante é forse il video La differenza tra noi e Dio è l’attrito, che rappresenta una lampadina che si accende e si spegne seguendo il ritmo cardiaco; questo lavoro mette chiaramente in evidenza la necessità di riferimenti fisici e simbolici perché sia possibile, o abbia senso, la vita.
I Pennacchio Argentato hanno mostrato, attraverso brani di storie fantastiche, che si manifesteranno agli Pennacchio Argentato, Umore Blu, 2002osservatori soltanto come frammenti di un racconto che precede e continua, ma che ci è dato solo immaginare e non conoscere. I soggetti delle loro storie sono due manichini gli artisti travestono, rendendoli estremamente umani. L’umanità dei loro personaggi, però, appare quasi esasperata, perché è resa evidente più dal travestimento (dal trucco, dalle parrucche, dai vestiti) che dalle forme antropomorfe dei manichini. A ben vedere ciò costituisce ancora una riflessione sulla realtà della vita, nella quale i simboli culturali che portiamo addosso sono più comunicativi, e dunque più importanti, dell’apparenza fisica che ci caratterizza.
Elemento comune ad entrambi i persorsi artistici è il ricorso strumentale alla luce; nel primo caso, racchiusa nella metafora del “faro”, diviene punto di riferimento per il viaggio/vita; nel secondo caso, intrappolata negli stati di superfici solide incolori (vetri o plexiglass), consente la percezione di una “profondità” che fisicamente non esiste.
Il giorno della inaugurazione lo spazio è stato anche il teatro di una performance della compagnia napoletana Babbaluck.

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marco izzolino


T293, via dei tribunali 293, mart_sab 16_20, t293@libero.it, 081295882, a cura di Paola Guadagnino – Massimiliano Tonelli

[exibart]

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