09 aprile 2003

teoria dell’arte Per una semiotica del linguaggio visivo (meltemi 2003)

 
Tradotti per la prima volta in italiano quattro saggi di Meyer Shapiro sul rapporto fra parola e immagine. Come si forma il sapere della storia dell’arte? Ecco un’occasione per indagare alcuni risvolti teorici finora poco studiati…

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Chi si interessa di arte contemporanea conosce la figura di Meyer Schapiro (1904-1996) soprattutto per i suoi articoli sulle mele di Cézanne, sull’Armory Show, sulle scarpe di Van Gogh, sull’arte astratta e sul concetto di stile. Tuttavia il pensiero di questo storico dell’arte d’origine lituana che ha insegnato alla Columbia University di New York (cattedra oggi ricoperta da Rosalind Krauss) resta ancora poco studiato nei suoi risvolti teorico-metodologici. E’ in questa direzione che si muove la presente raccolta, selezione ben calibrata e dal forte piglio critico di quattro testi (di cui tre inediti), pubblicati fra gli anni Sessanta e Settanta, concernenti il rapporto fra scrittura e immagine. Tuttavia, come il titolo rende perspicuo (e come la collana editoriale lascia supporre), l’ambizione è quella di delineare i tratti di una semiotica della pittura volta a individuare le invarianti dei linguaggi e dei testi visivi.
Un’operazione che giustifica il corposo apparato paratestuale: un’attenta e militante introduzione di ampio respiro, firmata dalla curatrice, che dei testi restituisce le coordinate storico-sociali, la fortuna e la portata teorica, non senza un po’ di spocchia nei riguardi del decostruzionismo di Jacques Derrida, nonché verso gli “intollerabili e ingiustificabili eccessi” dell’arte contemporanea esposta alla Biennale (exemplum gratia De Dominicis e Manzoni o i “più dignitosi e quasi accettabili” Warhol, Lichtenstein, Chia, Beuys!). Fa pendant una postfazione che accosta Schapiro, oltre al linguista Benveniste (esplicitamente richiamato da Schapiro), al metodo semiotico strutturale-generativo di Greimas, anch’egli lituano d’origine. Letture suggestive e pertinenti se intese in modo non coercitivo dato che, per restare ai testi, i paralleli fra pittura e lingua restano contingenti e non risolutamente tematizzati.
A nostro avviso, è sì importante articolare il rapporto fra iconografia e semiotica, comprendere fino a che punto la seconda ha facilitato la prima – cui Schapiro viene generalmente ricondotto – nell’analisi degli elementi strutturali della composizione pittorica come le parti non mimetiche, la cornice, il supporto, la firma (intesa come scrittura visiva). Tuttavia è necessario ribadire come nei testi di Schapiro – come già suggerito da Hubert Damisch – è assente ogni intento sistematico. Se è vero che la storia dell’arte è pensata assieme alla sua elaborazione teorica, questa tuttavia non prende mai le sembianze di una metodologia. La stessa iconografia resta un approccio teorico che non risolve l’eterogeneità del visivo rispetto al verbale né la traducibilità dell’immagine nella parola. Insomma, nella scrupolosa attenzione per la singolarità e la polisemia di ogni opera d’arte come per le condizioni (e i condizionamenti) storico-psicologici della percezione dello spettatore, non si dà nessuna regola per il visivo, nessun sistema semiotico dell’immagine. Frontalità e profilo, ad esempio, sono forme simboliche che variano di senso a seconda del concreto contesto visivo, della loro occorrenza, come nel caso delle rappresentazioni del bacio di Giuda o della posizione di Mosé nella battaglia contro gli Amaleciti.
Va ricordato infine come in questi testi non è solo il rapporto parola/immagine ad essere indagato. Nella celebre Bibbia Moralizzata (della metà del XIII secolo) il testo è ridotto ad una didascalia ed è l’immagine a commentare l’immagine e dunque ad orientare il senso, ovvero è il loro accostamento a far scaturire la dimensione simbolica, per cui le scene dell’Antico Testamento – questione teologicamente spinosa – diventano prefigurazione del Nuovo. Un dialogo visivo che costituisce un tratto peculiare dello stesso pensiero di Schapiro, fatto di cortocircuiti e anacronismi che si innestano fra mondi culturali lontani fra loro: l’astrazione nella prima arte medievale, il movimento cinematografico di Giuda secondo Giotto, i fumetti nelle miniature medievali, o ancora la ricaduta delle riflessioni sulla cornice nell’elaborazione di Woman I di De Kooning. Accenni preziosi, in cui l’elaborazione teorica riecheggia le coeve manifestazioni artistiche, in cui l’arte contemporanea ci aiuta a vedere meglio quella antica.

riccardo venturi


Meyer Schapiro Per una semiotica del linguaggio visivo, traduzione e cura di Giovanna Perini, postfazione di Lucia Corrain. Meltemi (www.meltemieditore.it), Roma 2002, 263 pp., 24 tavole a colori, 42 figg. b/n, 18 €, ISBN 88-8353-164-7

[exibart]

3 Commenti

  1. Va bene interessante x una bella lobotomia intellettuale e a chi servirebbe?! Materiale per capire cosa? Teorie serrate elogiche x comprendere meglio l’antico? Il significato altamente religioso e universale della Torre di Babele forse? La chiarezza esiste in natura e non sempre al tavolino.

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