10 settembre 2013

Se dico arte tu a cosa pensi?

 
È la madre di tutte le domande. Quella che prima o poi tutti ci siamo fatti. E a cui è sempre più complicato dare una risposta. Soprattutto perché è cambiato lo scenario in cui l’arte si manifesta e incide nel contesto sociale. Pubblichiamo la prima parte di una riflessione che tenta di mettere qualche paletto per circoscrivere il tema. Perché già avanzare qualche ipotesi può essere d’aiuto. Il dibattito è aperto

di

Paul McCarthy, Shit Pile, 2007, Middelheimmuseum

Se dico arte tu a che cosa pensi? Alla pittura? alla scultura? alla fotografia? al video? all’installazione? alla performance? all’emozione? alla tecnica? alla didattica? alla bellezza? all’idea? all’immagine? all’immaginazione? alla forma? alla narrazione? alla poesia? alla conoscenza? …?
Forse non proprio all’infinito, ma l’elenco degli interrogativi di sicuro potrebbe occupare ancora parecchio spazio e ognuno di voi potrebbe di sicuro aggiungerne almeno uno diverso.
Quello che pensiamo dell’arte è da sempre una delle questioni più complesse e centrali dell’arte nel corso della storia. Da questo pensare dipende infatti non solo il posto e la funzione che essa ha nel mondo, ma anche e prima di tutto ne dipendono quei presupposti necessari alla stessa elaborazione dell’opera nuova, soprattutto di quella che si differenzia in modo decisivo da ciò che la precedeva. 
Naturalmente questo pensare condiziona anche la divulgazione dell’arte, la sua stessa conoscenza e la conoscenza che attraverso di essa si compie del mondo, ed è facile intuire come questi ultimi siano aspetti decisivi dello stesso sviluppo dell’arte, essendo fondamentali ad esempio per valutare l’entità delle risorse che la comunità decide di riservarle. In Italia proprio in quest’aspetto è da rintracciare con buona probabilità una delle cause principali del sempre minore impegno pubblico negli investimenti per la cultura in generale e per l’arte in particolare. Perché se da una parte diamo giustamente colpa all’insipienza storica degli uomini politici nostrani per il degrado in cui versano i beni antichi, come quelli presenti e futuri, dall’altra non possiamo non cogliere l’incapacità delle persone, di noi italiani in generale, a difendere quei beni non solo come preziosa risorsa economica, ma prima di tutto come elemento decisivo della nostra identità. E la ragione di tutto ciò è che non si difende ciò che non si ritiene importante perché naturalmente non se ne ri-conosce il valore, ma prima di tutto non se ne ri-conosce il senso. 
Vincenza Bono Parrino, Ministro alla cultura nel 1988-89
Per la verità quest’ultimo punto apre altre e differenti questioni nello specifico dell’arte attuale, perché proprio sul senso che ha oggi l’opera d’arte difficilmente si riesce a fare riferimento ad opinioni autorevoli e condivise anche tra gli stessi specialisti, o se preferite tra quelli che si definiscono come “addetti ai lavori”, e tra i quali si annoverano ormai professionalità diversissime e del tutto estranee alla necessità di una qualsiasi attribuzione di senso. Una condizione quest’ultima ormai prevalente, che se da una parte lascia ampia discrezionalità e manovrabilità senza bisogno di trovare tante e ragionate giustificazioni, dall’altra ha indotto ad una empasse teorica senza precedenti, che sta di fatto riducendo l’elaborazione dell’arte alla costruzione di un prodotto che è costretto a cercare, come mai nel passato, una qualche funzionalità di tipo pratico nel mondo in cui è. 
Platone e Aristotele (particolare de La scuola di Atene di Raffello)
La conseguenza di tutto ciò è che il processo si è invertito: dalla funzione pratica ottenuta, e che è principalmente di natura economica, si decreta il senso, che a quel punto non importa se sia condiviso. L’opera alla quale l’attribuzione di valore da parte del mercato ha garantito esistenza e istituzionalizzazione infatti ne può fare tranquillamente a meno, e le ragioni sono facili da intuire. Naturalmente tutto questo sta minando sia l’opera d’arte come affermazione in sé, quanto appunto il suo di-mostrarsi al mondo. Un processo quest’ultimo che se fino a qualche anno fa avveniva esclusivamente attraverso la produzione di mostre temporanee dalle sempre più vaghe ispirazioni pseudosocioantropofilosofiche, o peggio ancora letterarie, oggi tende a sostituire la stanca pratica curatoriale (vista anche la penuria di denaro) con altre modalità del tipo gestione residenze, tutoraggi individuali e di gruppo, comunicazione non convenzionale a gogò e raramente con la più impegnativa didattica. 
Galleria dell'Accademia Firenze
Così farsi alcune domande essenziali e tentare di rispondervi appare oggi davvero una cosa necessaria e non più rinviabile. E dunque: cos’è l’arte oggi? Cosa rende un manufatto, un’immagine, una sequenza d’immagini, un oggetto o un’azione un’opera d’arte? E qual è la funzione e il ruolo che ha l’arte nella nostra vita quotidiana, nel nostro sistema sociale, politico, economico e comunicativo, ma anche nel nostro sistema della conoscenza? 
Iniziamo a ragionare su alcune premesse che questi interrogativi recano con sé. 
Le domande poste originano dalle differenze che esistono tra la nostra attuale condizione di occidentali, e di tutti quelli che sono di fatto assimilabili a quest’area, rispetto a quella in cui eravamo in un passato anche recente. Sono queste differenze, naturalmente, ad aver determinato i cambiamenti dell’arte e non viceversa, e tantomeno indipendentemente. Ci muoviamo quindi dentro quel pensare l’arte come risultato di un contesto, e non in quello di un’astratta separazione di questa dal mondo. 
Segue 

3 Commenti

  1. Noi organizziamo da quattro anni Land Art. E offrire Arte al pubblico, credo, spero, che voglia dire: curiosità, condivisione, stupore. L’arte è un altro occhio, un altro pensiero. E’ una freccia, una domanda che ti penetra, un seme, che forse, germoglierà.

  2. bisogerebbe attenersi alla antica intuizione dei greci,l’arte è teknè,arte e scienza insieme,in cui arte era sinonimo di bellezza….allora saremo giunti a questa definizione : L’ARTE è SCIENZA DELLA BELLEZZA,ma questa bellezza è in DIVENIRE TEMPORALE,la bellezza dell’arte tecnologica digitale dimostra anche questo concetto : attraverso la teknè del tempo l’arte svela l’essere profondamente (come già Heidegger-Macluhan-Mario Costa avevano compreso)
    un essere del kosmos-natura di cui noi percepiamo le apparenze materiali,mentre il virtuale ci di-mostra la sua im-materialità ad un primo livello….

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