24 giugno 2015

La cultura può fare a meno della tv?

 
La televisione non è solo business. Ma la tendenza della tv italiana è di abdicare alla produzione di contenuti. Come se questi non fossero importanti. Ne siamo sicuri?

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Quando si parla di cultura e di sviluppo culturale sono numerose le associazioni mentali evocate: musei, gallerie e biblioteche di solito sono le più immediate, ma la produzione di contenuti ha anche altri e numerosi risvolti, di cui bisogna tenere conto.
Esistono all’interno del raggruppamento delle Industrie Culturali e Creative alcuni comparti che più di altri hanno organizzato la propria struttura e attività economica sul modello industriale, come ad esempio il settore dei videogames, dell’editoria di stampo generalista e della produzione di contenuti radiotelevisivi.
Queste modalità di produzione culturale spesso rispondono a logiche diverse dalle altre modalità cui spesso ci rivolgiamo, ma rappresentano in tutto e per tutto produzioni culturali, con un bacino di utenti (e quindi una sfera di influenza) maggiore rispetto alle forme “alte” della cultura. 
Oggi esiste una profonda, silenziosa e apparentemente definitiva scissione tra questi comparti: da un lato i tecnicismi, le strutture organizzative complesse, l’atteggiamento market-oriented di queste industrie dall’altro una certa resistenza culturale e psicologica per tutto ciò che è mainstream, hanno fatto sì che interi settori dell’economia culturale e creativa sfuggissero alla riflessione e al dibattito.
Nam June Paik TV Buddha 1985 monitor, telecamera, scultura lignea dorata (esemplare unico) Collezione Pierluigi e Natalina Remotti, photo: Paola Mattioli

L’uomo di cultura deve invece riappropriarsi di ciò che ha perduto, non solo perché questi settori mostrano livelli economici di tutto rispetto, ma anche e soprattutto perché questi settori influenzano i nostri comportamenti, i nostri consumi (culturali e non), contribuendo a formare una consapevolezza culturale diffusa, in merito alla quale spesso il dibattito assiste inerme, anche perché la divulgazione non offre gli strumenti utili per comprenderne i meccanismi.
Ne è riprova il silenzio che ha circondato l’intera parabola della vicenda di Telecom Italia Media, società controllata da Telecom Italia che sarà presto oggetto di fusione presso la casa madre. Questa vicenda ricopre l’itinerario che va dal contenitore al contenuto e, dal contenuto, al vettore, lambendo tutti gli elementi classici del meccanismo di comunicazione. E di strategia finanziaria.
Proviamo a ripercorrere la vicenda, partendo dall’inizio. Il colosso delle telecomunicazioni aveva avviato, attraverso la controllata Telecom Italia Media, un’attività di produzione di contenuti audiovisivi, quali i canali televisivi La7 e MTV Italia. Che si è conclusa, quantomeno per quanto riguarda la produzione di canali televisivi, nel 2013: TI Media, dopo aver ceduto a Cairo Communication La7 srl, cede MTV Italia srl a Viacom, che già ne deteneva il 49% delle quote.
Dopo tutto non è brutto, Geppi Cucciari e Francesco Bonami

Un’ulteriore conferma di questo cambio di rotta è arrivata il 10 Marzo di quest’anno, quando il numero uno di Telecom Italia, Marco Patuano, ha fatto riferimento alla grande mole di investimenti necessari per poter produrre contenuti, citando i 90 milioni investiti da NetFlix per la produzione della serie Gomorra.
Le attività di TI Media tuttavia non si limitavano in maniera esclusiva al controllo di società di produzione di contenuti, parte delle società collegate o controllate erano invece legate soprattutto all’infrastruttura tecnica di comunicazione, segmento di mercato sicuramente più vicino al core business della holding Telecom Italia.
Tra queste, spicca il ruolo predominante che ha acquisito la società Persidera spa di cui TI Media detiene il 70%, mentre il restante 30% fa capo al Gruppo Editoriale L’Espresso: Persidera, infatti, si propone come “il più importante operatore di rete indipendente dotato di cinque multiplex digitali nazionali, con un’infrastruttura di grande capillarità e capace di erogare servizi ad elevato standard qualitativo”.
Mario Schifano, Paesaggio TV, 1970

Ad oggi nel portafoglio clienti della società risultano nomi quali Agon Channel, Cairo Communication, De Agostini Editore, Discovery (produttore tra gli altri di DeeJay Tv e Giallo) Viacom e Sky.
E sembra che tra i prossimi clienti rientri anche Mediaset, stando almeno alle indiscrezioni degli ultimi mesi. Non è la prima volta che l’interesse delle due società si incontra: Persidera spa infatti possiede il 51% di Beigua srl, società deputata all’acquisto, vendita, gestione e manutenzione di impianti per la riparazione e distribuzione di programmi radiotelevisivi. Nella stessa società ha interessi anche Mediaset spa attraverso la controllata EI Tower spa, recentemente salita agli onori della cronaca non specialistica.
Ma c’è dell’altro. Nell’ultimo periodo Telecom Italia ha attirato l’attenzione per due ragioni principali: in primis l’acquisizione per mezzo di fusione della controllata Telecom Italia Media (dopo che solo l’anno scorso, i segnali di cessione erano talmente insistenti da rendere necessario un comunicato da parte di Telecom Italia nel fugarne la fondatezza), e l’altro è la proposta di cablatura insieme a Enel Spa. In una recente intervista rilasciata a Il sole 24 Ore, Francesco Starace (Ad di Enel), afferma che nel processo di cablatura del Paese: «Le sinergie che si possono fare in concomitanza con il nostro piano di sostituzione dei contatori potrebbero portare il costo a 4/6 miliardi». Fatto che spinge a un nuovo possibile sviluppo per il core business di Persidera, e quindi di Telecom Italia, che potrà vantare una rete sempre più capillare oltre alle specificità già acquisite. 
Nam June Paik, Watchdog II, 1997, Aluminum framework, circuit boards, intercom horns, audio speakers, Panasonic camcorder, desk lamp, three 13

Tirando le somme: la storia conferma che Il medium è il messaggio? Sembra proprio che questa abusata massima di McLuhan, trovi nuova forza e vigore nella vicenda Telecom, che ha abdicato alla propria fondazione (Fondazione Telecom Italia) la possibilità di produrre contenuti di sorta, destinando questa attività al ruolo delle attività non redditizie. E il messaggio, in questo caso, è chiaro: i contenuti originali sono troppo costosi per operare in un meccanismo di business, lasciamo dunque che siano i giganti esteri (fatta eccezione di Mediaset) ad occuparsi di questo. Così, mentre in contesti geopolitici differenti (vedi ad esempio la Corea del Sud), la produzione di contenuti diventa un business talmente forte da essere il volano di uno sviluppo economico e di rilevanza nello scacchiere geopolitico internazionale, l’Italia, si limita ai servizi, alle infrastrutture materiali ed immateriali. 
A quanto pare, mentre il Made in Italy è quasi del tutto in mano ad investitori stranieri, mentre Cinecittà diventa un parco giochi, la soluzione cui si ricorre è sempre la stessa: assumere un ruolo di secondo rilievo nella produzione di cultura, rendendo sempre più debole un comparto che potrebbe invece essere un forte sviluppo per il Sistema Paese. Perché la cultura non sono solo i musei, le gallerie, e le opere d’arte che fortemente vincoliamo all’interno della nostra nazione, la cultura è anche la televisione, internet, la produzione di contenuti editoriali e radiotelevisivi di elevata qualità. 
Accontentiamoci dunque dell’ItalianSounding, delle cifre sull’Unesco, e lasciamo agli altri la capacità di rendere efficiente questo patrimonio, illudendoci che tutto vada per il meglio.

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