08 settembre 2005

A Tirana è ancora Biennale

 
A due passi dalla costa adriatica, si inaugura la Biennale di Tirana. O, meglio, si apre il primo episodio. Per terminare tra due mesi con un finissage. Ne abbiamo parlato col direttore e co-curatore Edi Muka e con Roberto Pinto, che si occuperà della seconda tappa del progetto...

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Le Biennali si moltiplicano come funghi. Bisogna farsi notare (Manifesta itinerante, Gwangju collaborativa ecc.). A Tirana si vedranno cinque episodi, cinque inaugurazioni, un finissage… Edi, ma come ti è venuta un’idea del genere?
Edi Muka: Se consideri la breve storia di TB, l’idea nasce dal fatto che per noi cambiare ogni due anni era una condizione d’esistenza. Ovviamente mi riferisco a TB1 e alla collaborazione con Flash Art. Ho letteralmente dovuto riprendere in mano TB quando la relazione è finita. Tutto ciò è coinciso con la moltiplicazione del fenomeno delle Biennali su scala mondiale. Perciò era necessario ricreare un evento provocatorio ogni due anni, non semplicemente invitando curatori e artisti eccitanti, ma tenendo un basso profilo che potesse fornire una base per idee e format nuovi, rispondere ad alcune domande o suscitarne altre. Da qui l’idea di una mostra in 5 episodi. Certo, c’è una somiglianza con Gwangju, ma non ne avevo idea finché Hanru non è venuto a Tirana per la prima volta, a marzo, quando l’avevamo già invitato.

Roberto, tu che hai vissuto in prima persona l’esperimento coreano, cosa ne pensi? Come reagirà la città?
Roberto Pinto: In ogni mostra, e specie in una biennale, è indispensabile partire dal contesto. La biennale di Gwangju è un evento internazionalmente riconosciuto per il ruolo che si è saputa conquistare nel panorama asiatico e internazionale. Obiettivo raggiunto anche grazie alla potenza economica di questa nazione emergente. padiglione albania,51. biennale di venezia, a cura di andi tepelena e cecilia tirelli, artista sislej xhafa, opera ceremonial crying system pv. A Tirana si opera in una situazione totalmente diversa, con risorse limitate, ma in cui forse si ha maggiore libertà. La formula delle 5 mostre che coprono un periodo di un paio di mesi credo sia molto interessante, anche per favorire un clima di partecipazione più allargata e lunga nel tempo.
EM: Abbiamo optato per il format a “episodi” proprio per ancorare meglio l’evento alla città e al contesto. Anche per l’“effetto-fungo” al quale accennavi, penso che per non assomigliare a molte altre biennali ci si debba conc entrare sulla relazione fra TB e il territorio, come stanno tentando di fare a Istanbul. Poi non so come reagirà esattamente la città. In genere la gente è ancora poco abituata a questo tipo di manifestazioni, ma potrebbe essere una potenzialità piuttosto che un handicap. La mancanza di istituzioni “forti” offre molte opportunità per artisti e curatori.

Veniamo al panel dei curatori, con nomi più o meno noti. E al tema, i tabù.
EM: Quando abbiamo pensato ai curatori a partire dal tema dei tabù, volevamo invitare persone che si erano occupate o si stavano occupando del coinvolgimento dell’arte nelle questioni sociali, non solo da un punto di vista meramente illustrativo, ma in un modo diverso e creativo, senza temere il confronto con questioni spinose. È un approccio molto personale, ma deriva dalla scelta oculata di un gruppo di artisti. Come dici tu, ci sono nomi più o meno noti, anche parte dell’attuale “power network”, ma non ci facciamo condizionare. Le persone coinvolte in TB hanno a cuore questa sfida, anche con tutte le difficoltà infrastrutturali…
RP: Ogni società costruisce i propri tabù. È interessante vedere come possa essere affrontato in modi diversi un tema come questo, soprattutto se consideriamo che viviamo in una situazione in cui, almeno teoricamente, siamo liberi come non era mai successo nella storia. Liberi di uniformarci a parametri che sono democratici e libertari e che però, paradossalmente, non sono discutibili. Per la mia sezione ho cercato di ragionare sul rapporto privilegiato che esiste, storicamente, tra Albania e Italia. Quello che proponevamo loro era un modello paradisiaco della vita, ma con una quasi totale assenza di valori etici. Se sei un perdente, evidentemente meriti di esserlo. Partendo da queste constatazioni ho pensato che molto spesso l’arte cerca modelli alternativi, visioni nuove, della nostra stessa realtà, propone degli antieroi. Ho ritenuto dunque interessante organizzare una sezione sull’idea di sconfitta, non per celebrare con rassegnazione i perdenti, ma per pensare che alternative alla realtà sono ancora possibili.

EM: Io curerò insieme a Gëzim Qëndro il primo episodio, “Temptations”. La mostra si articola sulla nozione di potere e tenterà di indagare la natura seduttiva di questo onnipresente tabù. Partendo da un’antica leggenda balcanica, quella di Prometeo, e da tutta la seduzione contenuta nel suo gesto di rubare il fuoco/potere agli dei e offrirlo agli esseri umani, proveremo a svelare gli approcci artistitici a questa posizione. La mostra dovrebbe anche contenere una piccola parte storica sulla relazione fra arte e potere, per la quale sfrutteremo la ricca eredità del Realismo Socialista albanese, mentre per il contemporaneo non ci limiteremo al potere politico o ideologico.

Qualche nome…?
RP: Molti artisti italiani: Pietroiusti, Umbaca, Margherita Morgantin e Stefano Romano un giovane artista che ha deciso di vivere per un po’ a Tirana. Poi Ghazel, Tania Bruguera, Minerva Cuevas, Rebecca Belmore, Maja Bajevic, Nedko Solakov, Ingrid Mwangi, Carlos Garaicoa, Jota Castro, Lucy Orta… E spero di convincere ancora un altro paio di artisti… Inoltre ci sarà Edi Hila, artista poco noto ma insegnante di quasi tutti gli artisti albanesi che conosciamo in Europa.

Per finire. Perché dovremmo passare da Tirana prima di andare a Istanbul?
RP: Mi aspetto molto da Istanbul, soprattutto dall’edizione di quest’anno, con la coppia di curatori Charles Esche e Vasif Kortun, che mi sembrano capaci di fare riflessioni generali senza perdere di vista il fatto che alla fine si organizza una mostra e non si sta scrivendo un libro. Tirana ha proposto un modello di collaborazione e di scambio, partendo da esigenze locali e mirando anche a una prospettiva internazionale. Ho molta fiducia che proprio in queste situazioni meno “istituzionalizzate” si possano fare sperimentazioni e costruire eventi che abbiano la propria ragione di esistere e che siano in grado anche di proporre strade alternative.


La Biennale di Tirana è nata nel 2001, contraddistinta da una stretta collaborazione con la rivista Flash Art. Ha subito riscosso un certo successo grazie anche alla sezione dedicata alla web art, allora curata dall’artista Miltos Manetas. Due anni dopo Giancarlo Politi è migrato a Praga e la direzione è ancora stata affidata alla coppia Edi Muka e Gëzim Quëndro, rispettivamente curatore e direttore della Galleria Nazionale. Il tema era quello dell’U-Topos, articolato in quattro sezioni. La formula si era distinta per alcune particolarità, per esempio le scelte operate da 6 artisti chiamati a selezionare 5-6 colleghi, nonché la partecipazione su libera proposta, retaggio antico che ormai ha ceduto il passo alla fatidica “chiamata”. La TB3 sperimenterà nuovamente innanzitutto dal punto di vista organizzativo, con 5 episodi di dieci giorni che sfocieranno in un finissage e relativa presentazione del catalogo. In altre parole, maggiore attenzione dedicata al territorio e ai suoi abitanti, per evitare la baldoria di pochi giorni per i soli addetti ai lavori.

articoli correlati
TB2
TB1

intervista a cura di marco enrico giacomelli


dal 10.IX al 10.XI.2005
III Biennale di Tirana. Sweet Taboos / (Episodes 5)
10.IX.2005 – Episode 1 [Temptations], a cura di Edi Muka e Gëzim Qëndro
20.IX.2005 – Episode 2, a cura di Roberto Pinto
30.IX.2005 – Episode 3 [Democracies], a cura di Zdenka Badovinac
15.X.2005 – Episode 4 [Bittersweet], a cura di Joa Ljunngberg
28.X.2005 – Episode 5, a cura di Hanru Hou
Info per conferma di date, orari e location: info@tiranabiennale.net; www.tiranabiennale.net
Catalogo pubblicato a fine rassegna
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[exibart]


4 Commenti

  1. Veramente una roba da pena, il puzzone di via farini sta esalando gli ultimi respiri come il cane digitale di un film di Diego Perrone. Che brutta fine. Exibart abbi pietà di lui.

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