21 aprile 2006

fino al 30.VII.2006 Tempo Moderno Genova, Palazzo Ducale

 
Un tema pregnante, un’occasione istituzionale di rilievo, capolavori noti e meno noti. Dalle proteste sindacali all’automa, dal realismo al postrealismo. Celant torna a Palazzo Ducale con una mostra molteplice. Che centra l’obiettivo senza strafare. Da Van Gogh a Mario Sironi, fino a Damien Hirst e Andreas Gursky. Il mondo del lavoro, ieri e oggi, attraverso gli occhi degli artisti...

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Smaterializzazione, flessibilità, telecommuting… Oggi sono queste le parole chiave quando si parla di mondo del lavoro. Eppure ci sono ancora le fabbriche, asettiche e sterminate come quella per la lavorazione dei polli in Cina, fotografata da Edward Burtynsky, già divenuta emblema di questa rassegna, ideata in occasione del centenario della CGIL. La vastità del tema –il lavoro appunto-, che si rifrange nelle rappresentazioni dei luoghi di produzione, del rapporto uomo-macchina, delle dinamiche di sfruttamento, lotta e protesta, viene affrontata in tutta la sua imponenza, pur senza ricadere in intonazioni retoriche o celebrative, e senza dilatarsi nel gigantismo espositivo che aveva caratterizzato Arti&Architettura.
Se i modi di produzione, modificandosi, hanno impresso profonde trasformazioni non soltanto al paesaggio urbano, ma anche, naturalmente, al tessuto sociale e alle abitudini quotidiane, la rilettura storica di questo percorso avviene evitando la probabile pedanteria di un andamento cronologico, optando invece per un allestimento dialettico, giocato sul continuo contrappunto tra passato e contemporaneità. Come illustra nel saggio inserito nel copioso catalogo, il curatore scorge nell’evoluzione dell’interpretazione artistica del lavoro uno sviluppo articolato nelle polarità di realismo e avanguardia, osservando l’avvicendarsi di rappresentazioni figurative, ad altre che sopprimono l’aspetto iconico e si svincolano dal referente oggettivo per spostarsi in una dimensione direttamente esperienziale. Così, dopo i contadini nei campi di Van Gogh, i giovanissimi spolatori immortalati da Lewis Hine, le periferie industriali di Sironi, i cantieri di Plinio Nomellini, i manifesti per la ricostruzione socialista di Gustav Klucis e le città cupe ed espressionistiche di Conrad Felixmuller, è negli anni ’60 che avviene la rottura con l’iconografia della fabbrica, dell’operaio e dell’impiegato.
Uno scatto di Lewis Baltz
L’arte si ripiega su se stessa ad indagare le ragioni del proprio fare, e “il risultato è lo sradicamento del mito della forza del lavoro e il rigetto per ogni sua raffigurazione, che viene considerata puro tatticismo decorativo”. Solo negli anni ‘90 si ristabilisce un contatto forte con le questioni sociali, rivalutando linguaggi documentari ormai lontani dalla mimesi pittorica, che esibiscono la nuda spettacolarità dell’esistente, in presa diretta sul reale. Un’attitudine designata da Celant come postrealismo, che qualifica per esempio, le opere di Damien Hirst e Andreas Gursky, il già citato Burtynsky e Sebastiao Salgado, i cui scatti drammatici e monumentali nelle miniere d’oro della Serra Pelada o nei pozzi di petrolio in Kuwait, arricchiscono l’eccellente comparto fotografico della mostra, che annovera, fra gli altri, August Sander, Walker Evans, Tina Modotti, Aleksandr Rodcenko, fino alle recenti e sorprendenti visioni di Lewis Baltz, dove l’umanità sembra scomparsa, se non fosse per l’allusione al controllo richiesto dalle apparecchiature ritratte.
L’utopia di una società esclusivamente dedita al tempo libero, grazie all’impiego totale delle macchine nei processi produttivi, non ha però mai realmente goduto di largo credito: il loro avvento ha in ogni caso segnato profondamente l’esistenza dei lavoratori; e se la meccanizzazione ha portato disoccupazione ed esiti alienanti, parodiati in modo indimenticabile da Charlie Chaplin in quei Tempi Moderni omaggiati nel titolo, gli stessi linguaggi artistici ne sono stati fortemente influenzati, basti pensare al nostrano Futurismo, qui degnamente rappresentato da Fortunato Depero e Fillia.
Con due robot del resto si apre e si chiude il percorso espositivo: all’ingresso l’automa ancora antropomorfo di Nam June Paik; per terminare con il video di Pavel Markus, dove un’ironia inquietante investe il movimento ripetitivo di bracci robotici per la verniciatura delle auto, fatto interagire con il canto dei sutra buddisti: ne scaturisce una relazione inedita tra l’idolatria tecnologica e la reiterazione dei riti religiosi.

gabriella arrigoni
mostra visitata il 13 aprile 2006


Tempo Moderno – Da Van Gogh a Warhol – Lavoro, macchine e automazione nelle Arti del Novecento – a cura di Germano Celant – fino al 30.VII.2006
Palazzo Ducale, Appartamento del Doge, Piazza Matteotti 9 – 16123 Genova
Orario: 9-19 tutti i giorni, giovedì 9-22. lunedì chiuso – Biglietto: intero 8€, ridotto 6€, scuole 3€ – Catalogo Skira – Per informazioni tel. 010 5574004 – www.palazzoducale.genova.it  – www.tempomoderno.it 


[exibart]

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