13 dicembre 2006

IL BOSCO DELLE COSE

 
Un museo fuori dal tempo. Fatto di oggetti accumulati, parlanti, carichi di storie. Ad Ozzano Taro, in provincia di Parma, un ex podere di campagna è stato trasformato da Ettore Guatelli in un luogo della memoria. Che parla di un fare spontaneo, materiale, artigianale...

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Basta andare un centinaio di chilometri più giù, oltre il sud-est milanese, e il paesaggio cambia. I campi si acquattano, i colori intiepidiscono. L’auto, incastrata nel flusso dell’A1, prende un assetto più rilassato. Un assetto disteso, da viaggio. Passata Piacenza comincia il primo tratto dell’Emilia. L’ultima bassa pianura, appiattita dai fiumi vuoti e sormontata dagli stabilimenti.
Lì in mezzo ci si mette un attimo a perdere la civiltà del contemporaneo, e a far ritorno all’Età della Terra. Quando, prima di saper fare si faceva. Ad arte. Un’età in cui i vissuti degli oggetti e le storie degli uomini si raccontavano. A vicenda.
Ad Ozzano Taro, infatti, a qualche chilometro da Parma, ancora oggi, gli oggetti parlano con voce d’uomo. Il Museo Guatelli, per chiunque voglia ascoltare, è diventato una storia piena di innumerevoli altre storie. Una rete tesa a trappola, pronta ad accalappiare immaginari.
Il suo ideatore/curatore/inventore, Ettore Guatelli (Ozzano Taro 1921- Ozzano Taro 2000), ha letteralmente ridisegnato le pareti di questo grosso podere, trasformandole. L’instancabile proprietario ha dedicato un’intera esistenza a fregiarne i muri, fino a farli sparire. Ora sono nascosti, irretiti e decorati di Cose. La provenienza degli oggetti è per lo più nostrana, appenninica, a volte lombarda. La caratteristica che li accomuna è l’ammontare dei segni che si portano addosso. Ruggine, macchie, rattoppi, contaminazioni e ingegno manuale. Non importa l’appartenenza all’aura Perfezione, o all’effimera Novità, quel che conta è la bellezza balsamica delle stratificazioni. Ogni oggetto in mostra, infatti, sopravvive alle tracce olocaustiche subite, diventandone allo stesso tempo contenuto e contenitore. Logorii, polveri, ricami di muffe e assemblaggi fortuiti costituiscono necessarie grazie.
Una delle stanze del Museo Ettore Guatelli
Da tempo, questi spazi portano il nome di “museo dell’ovvio”, “museo del quotidiano”, alcuni tendono ad omologarli ad un museo della civiltà contadina. Ma su un cartello, a lato del sentiero di ghiaia che porta all’ingresso, è indicata la scritta Bosco delle Cose. Niente di più azzeccato.
Casa Guatelli è una selva materia. Contiene circa 60.000 oggetti, non ancora del tutto catalogati, che strusciano l’occhio senza interruzione. Davanti a chi guarda scorrono utensili di ogni tipo. Subbie, martelli, pinze, lime, strumenti musicali, utensili, giochi, scatole, scarpe, pentole e indecifrabili senzanome. Ogni serie, appesa ai muri, rotea, ondeggia e arzigogola, disposta a raggiera, in modo da occultare completamente l’impianto architettonico-strutturale della cascina. Gli ambienti, così “accumulati” e disposti, fanno perdere la forza delle identità, indebolendo l’energia che quotidianamente crea connessioni con i dettami delle funzioni d’uso.
Al Museo Guatelli non esiste più un fienile, non più una stanza da letto, non una soffitta. Di quel che c’era, e c’è sempre stato, è rimasto un impianto fantasma. Adesso tutto è imbottito da manufatti, rarità introvabili. Nobili povertà, cose per fare le cose.
La ripetizione seriale e il gioco vorticoso dell’accumulo, pian piano, hanno ingerito tutti gli spazi e i loro significati reali. La collezione, così, diventa una sorta di operazione linguistica, un vernacolo del quotidiano che fa della forma la propria filologia e dell’invenzione il proprio etimo. La ripetizione e il susseguirsi degli oggetti fa perdere l’orientamento, ammutolisce e sfianca, investendo e poi Le "cose" del Museo Guatelli tramortendo. In parte, restituisce la stessa sensazione di ricerca, la medesima linfa che ha nutrito per anni l’infaticabile esploratore Ettore Guatelli. Sarebbe, infatti sbagliato definire questa gigantesca –nave- come un banale ripostiglio per oggetti alla deriva. Un infinito scaffale per ammennicoli che non ci sono più. Uno di quei posti, insomma, dove vanno a finire i ninnoli che si credevano persi.
Quando ci si addentra nei dettagli, la messa a fuoco cambia. Si passa dal vedere macchie di materia a percepire stralci di vite umane. E sotto la paziente egida della guida, si ritrovano curiosità inattese. Ci sono scatoline per tenere da parte il legno grondante, roso dai tarli. Le signore di campagna, raccogliendo la segatura finissima, si incipriavano la pelle sognando il borotalco. Ancora, si trovano ramponi da allacciare alle scarpe, con puntali metallici altissimi. Con quelli si aprivano i ricci delle castagne quando venivano stese in fienile, pigiando i piedi sul pavimento.
Sarà la vigilanza sensibile di chi visita ad andare oltre l’eccezione puntuale degli oggetti. Le arti locali, nostrane, devono fare specchio al contemporaneo con sensibilità e visione. Queste arti sono e rimangono una calda lingua muta della collettività, vere parti attive dei nostri cromosomi. Solo con esse le cose sciolgono in flussi, mischiando rituali, tradizioni, credenze, arguzie, spiritualità e semplicità. Qualità che fanno del fare una cosa in mezzo alle cose.

ginevra bria


Museo Ettore Guatelli: , Via Nazionale, 130 – 43046 Ozzano Taro (Collecchio. Parma) – tel. 0521 333601 – fax 0521 332098
e mail: info@museoguatelli.it – web: www.museoguatelli.it
Orario in vigore dal 01 Ottobre al 31 Maggio: Lunedì chiuso
Da Martedì a Venerdì: solo su prenotazione – Sabato:15.00/18.00 (partenza ultimo gruppo alle ore 17.00) – Domenica e festivi: 10.00/13.00 (partenza ultimo gruppo alle ore 12.00) – 15.00/18.00 (partenza ultimo gruppo alle ore 17.00)
Info e prenotazioni: Ufficio IAT e Proloco di Fornovo (Sig.ra Donatella Canali), tel: 0525/2599 – prolocofo@libero.it
Come Raggiungere il museo: da Milano o La Spezia, uscita Fornovo Taro, direzione Parma. Dopo qualche chilometro, appena passato il paese di Riccò, sulla destra si trova il museo.


[exibart]

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