29 marzo 2016

È della mostra il fin la meraviglia

 
Palazzo delle Esposizione offre al pubblico un percorso immersivo per scoprire Caravaggio. Un’installazione multimediale che affascina ma non conquista

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Circa 400 anni fa Giovan Battista Marino scrisse il celebre verso “è del poeta il fin la meraviglia”, con cui ancora oggi si introduce la poetica del Seicento. E la meraviglia è il fine della mostra appena inaugurata nel romano Palazzo delle Esposizioni dove rimarrà fino al 3 luglio: “Caravaggio Experience”, resa possibile grazie soprattutto alla multimedialità,che quando entra nelle sale dei musei, nella ricerca, nella didattica, sa sorprendere.
Di cosa si tratta? Di un percorso tra le sale del secondo piano del museo alla scoperta di 57 riproduzioni di tele di Caravaggio, seguendo i temi chiave della vita e dell’opera del pittore: la luce, il naturalismo, la teatralità, la violenza.Lo spettatore è immerso tra gigantografie ad altissima definizione, accompagnate da proiezioni multimediali, suoni e profumi, che permettono un incontro ravvicinato impensabile nella realtà. Per realizzarlo, una sinergia di competenze: Medialart, Roma&Roma, gli artisti di The Fake Factory, Claudio Strinati per la parte scientifica, Stefano Saletti per le musiche,Officina Profumo – Farmaceutica di Santa Maria Novella per la fragranza ‘Maledetto’, appositamente creata.
L’obiettivo è quello di coinvolgere il pubblico, anche meno esperto, e immergere il visitatore in “un flusso di emozioni frutto di un puro godimento sensoriale”. Lo scopo sembra essere raggiunto. I 50 minuti del percorso – durata stimata ma modulabile – si svolgono in piena immersione nei suoni e nelle immagini, supportate dalla più avanzata tecnologia: 33 proiettori Canon Xeed, pannelli a cristalli liquidi LCOS, sistema di multiproiezione Infinity Dimensions Technology. Il tutto permette un close-up sulle opere dall’effetto cinematografico, seducente, avvolgente. 
Caravaggio Immersive Experience, vista della mostra
Fare esperienza di Caravaggio meravigliando i sensi. Sulla parola esperienza (già ne parlava negli anni Trenta John Dewey con il suo Art as experience) è tornato più volte Claudio Strinati, avvicinando questo approccio al metodo degli scienziati che osservano con strumenti di ingrandimento l’oggetto delle loro ricerche; oggetto che qui diventa enorme, mentre noi diventiamo al confronto piccolissimi. E a guardare il panorama delle mostre internazionali si nota come le esperienze immersive e sinestesiche siano sempre più trainanti nei progetti espositivi. Insidiando il primato della vista come organo prevalente nella fruizione dell’arte, la sinestesia chiama in campo il coinvolgimento di più sensi simultaneamente. È stata oggetto di mostre a Londra, come “Tate Sensorium” alla Tate Britain– sottotitolo “Can taste, touch, smell and sound change the way we experience art?” – e “Soundscapes” alla National Gallery, dove i visitatori non solo osservavano le opere ma le scoprivano tramite musiche e suoni. In Italia abbiamo la recente “Van Gogh Alive – The Experience”, alla Promotrice delle Belle Arti del Valentino a Torino,e “Nel cerchio dell’arte” al Centro Trevi di Bolzano. 
Caravaggio Immersive Experience, vista della mostra
Questo progetto romano su Caravaggio si inserisce quindi in una tendenza in atto a livello internazionale e un elemento positivo è costituito anche dal fatto che l’artista in questione è stato spesso oggetto di mostre impossibili, ma la sintassi tra forma e contenuto appare non del tutto raggiunta. Le immagini sono ingrandite, ma poco rielaborate e animate. Non c’è interattività con lo spettatore, il percorso non sempre è autoesplicante. Se vedo un cielo di notte, le nuvole, la pioggia e poi Narciso, riesco a collegare la pozza d’acqua con la tragica morte del giovane solo se ne conosco il mito, altrimenti rimane un teatro dello stupore cui sfugge la narrazione. La meraviglia che non muove verso nuove connessioni farà prevalere l’apparato tecnologico sull’aspetto artistico, e le emozioni rimarranno sulla superficie dell’esperienza.
La spettacolarizzazione, insomma, non basta, e le tecnologie vanno supportate con una progettazione più ambiziosa; soprattutto se in altri musei sono già in uso strumentazioni quali l’internet of things, la tecnologia indossabile, la realtà virtuale, lo storytelling personale, la tecnologia iBeacon e, prossimi passi, le sensazioni tattili indotte elettricamente e il riconoscimento gestuale (quest’ultimo in studio al National Palace Museum di Taiwan). 
La strada è quella giusta –la cooperazione tra arte, scienza, tecnologie e creatività – ma il percorso affascina senza conquistare. 
Maria Stella Bottai

1 commento

  1. A parte che, insomma, a Roma esci di casa e Caravaggi reali ce li hai a portata di mano come se piovesse. Ma poi, è giusto un progetto del genere? È come dire che le opere in sè non possono più comunicare o essere comprese, e che serve il baraccone tecnologico, dietro l’alibi della modernità, dell’aggiornamento. Oppure, che le opere non ci interessano proprio, ma ci interessa altro.
    Certo, mi puoi dire che tramite il giochino fai conoscere Caravaggio a persone che magari non si sarebbero interessate altrimenti, ma anche se così fosse, non è un modo sbagliato, troppo facile? Non si dovrebbe invece, attraverso una visione di politica culturale, fare in modo che le persone si interessassero alle opere vere, le andassero a cercare, le cercassero di comprendere, tradizionalmente?
    Una cosa su cui pensare.

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