19 giugno 2018

CASE AD ARTE

 
Tamara Henderson o la densità organica della memoria
di Marcella Vanzo

di

Paola Clerico, istigatrice e producer di progetti artistici, ha deciso di regalarci una chicca nelle sue “Case Chiuse”, con il remote curating di Andrea Lissoni. Stavolta siamo accanto alla stazione Centrale dove a partire da un bellissimo cortile si dipana l’installazione di Tamara Henderson, che da subito ci trasloca in un mondo tutto suo, fatto di densità, intesa come l’affiorare di sentimenti diversi in momenti diversi e il loro accumularsi nel tempo. Strato dopo strato, sfumatura dopo sfumatura, screzio dopo screzio. Stoffe elaborate da guardare. Qui sta il trucco. Tutti quei ricordi, le sensazioni, il lutto per una madre perduta diventano un lavoro molto articolato, che letteralmente ci avvolge. È un tessuto, ma non ci copre, non ci veste, invece lo abbracciamo con lo sguardo. È uno spostamento semantico importante, perché sposta la nostra sensibilità corporea al di fuori e acutizza lo sguardo. Grandi arazzi, tende enormi, costumi oversize, una performance e un video, con tutta la leggerezza, improvvisa e catartica, della luce e del movimento, densi e fluidi come il resto.
Le tende hanno i nomi delle stagioni e accolgono gusci d’uovo, ceneri, fiori secchi, narcisi e cera d’api. Eucalipto, lana e licheni: profumi e texture che arricchiscono i tessuti. Decorati da grandi occhi, foglie o pesci, forse. In questo lavoro che si contrae e si espande come l’universo, tutti i significati e i significanti fluttuano.
Rotoli di disegni a matita, stesi e aperti per chi guarda. Esploriamo i dettagli di un mondo ricomposto geometricamente dove ogni disegno cerca un dialogo con chi guarda, in un mosaico di emozioni cangianti.
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Tamara Henderson Four Seasons, 2016 270 x 500 cm each Winter: Mixed textiles, wool, lichen Tamara Henderson Seasons End: Out of Body, 2018 16mm colour lm with optical soundtrack, 25 min. 30 sec. Courtesy: Case Chiuse by Paola Clerico and Rodeo London photo credits: Henrik Blomqvist

Totem primitivi in movimento, figure enormi fatte delle stesse stoffe che abbiamo appena abbracciato con gli occhi. Un altro spostamento. Quello di Tamara Henderson è un lavoro fuori dal tempo. Penso ai primi filmati girati dagli antropologi, a queste prime nozioni di altrove visibili che ci hanno raggiunto grazie alla tecnologia. Henderson il suo altrove lo crea e lo rappresenta con una forma precisa, data dalla densità dell’accumulo del ricordo. La sua performance fatta di segreti è una danza che ha luogo davanti a noi, che ci cattura e ipnotizza. Il tempo scorre e noi rimaniamo immobili, preda di una visione.
Seasons End: Out of Body è il titolo di questa rapture, una melodia di elementi eterogenei, di tessuti, di gesti di frammenti che compongono un diario onirico estremamente personale, che allo stesso tempo appartiene a tutti.
È un video in 16 mm, fatto a mano esattamente come le altre opere. Un continuum del divenire che qui comincia dal mare, dall’acqua e da una riva. 
È un sogno in cui perdersi, è dolcezza della natura, una foglia sotto la pioggia, un fico che brilla al sole come una pietra preziosa. C’è un codice segreto, Henderson ci suggerisce, un mondo prezioso ed estremamente labile che vive di richiami minimi ma molto presenti nel suo fare, nelle mani, spesso riprese, che sono l’origine di tutte le cose, il luogo in cui natura si trasforma in cultura.
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Tamara Henderson Four Seasons, 2016 270 x 500 cm each From left to right: Autumn: Mixed textiles Winter: Mixed textiles, wool, lichen Summer: Mixed textiles, egg shells, ash, daffodils, sweetgrass, beeswax Courtesy: Case Chiuse by Paola Clerico and Rodeo London photo credits: Henrik Blomqvist

Questo mondo ci sfila di fronte: disegni cuciti, sculture di tessuto, sculture che ondeggiano all’aria aperta e nei musei. Rito e mito fusi insieme in enormi figure in movimento, stregoni che seguono riti antichi e ci invitano a marciare con loro, le scarpe enormi, come le distanze da attraversare, interi mari o foreste e solo il trillo degli spiriti a condurci. Il mare che scorre all’orizzonte è sempre uguale a se stesso e compone una forma perfetta dentro all’oblò, un cerchio fatto di sempre. 
L’audio è importante, inquietante, tempestoso, ci indica l’umore del momento, fa fluire le immagini una dentro l’altra. Sono superfici tattili quelle che vediamo, piani in movimento attraverso la complessità dell’essere, che ce lo restituiscono presente tra danze primordiali e la deriva dei continenti, tra pietra e camaleonti, tra ghiacciai e scintille. 
La colonna sonora ancora ammucchia suoni epici, naturali e quotidiani e crea un paesaggio suggestivo, fatto di gocce che cadono, vento, foglie che si muovono al buio.
Il mare si agita attorno a uno scoglio, le uova ricordano figure metafisiche. Erba, buchi e silenzi, un forte senso di precarietà e di magia pervadono il video, di vita che si forma, si aggrega e decade. Di vita che si riforma e ricomincia, per vie misteriose. 
È il mistero che schiude e chiude questo video.
Poi usciamo, il cielo, i gradini, la stazione, all’improvviso il presente. Grazie Tamara, grazie Paola, e ancora una volta: ancora!
Marcella Vanzo

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