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Una mostra alla Philharmonie di Parigi accende la storia della Disco Music
Mostre
Parigi accende le luci stroboscopiche e spalanca le porte della pista: Disco. I’m Coming Out, in corso alla Philharmonie de Paris fino al 17 agosto, è molto più di una semplice celebrazione musicale. Tra groove incalzanti e tappeti luccicanti, prende vita una narrazione visiva potente, fatta di scatti iconici, arte contemporanea e installazioni immersive che immergono il visitatore nel cuore pulsante di un’epoca esplosiva. L’esposizione ripercorre le radici musicali della disco, il suo impatto culturale e l’eredità sociale e politica, grazie a un’ampia raccolta di archivi audiovisivi, fotografie, strumenti, costumi, oggetti di design e opere d’arte.



La curatela attenta di Jean-Yves Leloup e Marion Challier offre al pubblico un’esperienza sensoriale singolare, valorizzata dalla scenografia dello studio GGSV con luci al neon, proiezioni e oggetti cult dell’epoca, mentre la colonna sonora mixata da Dimitri From Paris ricrea l’atmosfera dei leggendari club come Paradise Garage e Studio 54. La mostra si articola in quattro sezioni, ciascuna intitolata con il nome di un brano iconico. Let’s Groove degli Earth, Wind & Fire guida alle origini africane-americane della disco. I Am What I Am di Gloria Gaynor esplora i temi dei diritti civili, della libertà sessuale e della parità di genere. Night Fever dei Bee Gees celebra il trionfo pop della disco culture, mentre Celebration dei Kool & the Gang chiude il percorso con un inno alla gioia condivisa.


Nata nei club underground di New York negli anni Settanta, la disco – erede diretta di soul, gospel e funk, basti pensare a James Brown e ai The J.B.’s – si è trasformata in breve in un fenomeno globale. Oltre al valore musicale, è stata uno strumento di emancipazione per le comunità africane-americane, latinoamericane e LGBTQ+, capaci di superare barriere e unire mondi lontani. Brani come I’m Coming Out di Diana Ross o I Will Survive di Gloria Gaynor si sono imposti come inni di liberazione e resistenza. Non manca il tocco francese con Patrick Hernandez e il suo celebre Born To Be Alive, capace di scalzare gli americani sul loro stesso terreno.


Nel percorso espositivo trova spazio anche l’arte contemporanea. Giorgio Moroder (Disco), del 2024, di Xavier Veilhan, realizzata in legno di quercia e faggio, si compone di tre forme umane scolpite che si stagliano come un’architettura ritmica. L’opera evoca l’estetica e la figura del leggendario produttore Giorgio Moroder, pioniere della disco elettronica. Le superfici ondulate e stratificate generano un gioco dinamico di luce e materia, richiamando le pulsazioni di un sintetizzatore analogico. La memoria musicale si trasforma qui in estetica, materia e racconto. Spiccano splendide fotografie che rimandano tanto a momenti storici quanto a personalità iconiche. Tra queste, uno scatto di Peter Hujar che ritrae David Mancuso (1975), il pioniere della cultura club e delle feste The Loft: spazi inclusivi dove la musica diventava un’esperienza spirituale e collettiva. David Mancuso ha influenzato profondamente la disco, l’elettronica e generazioni di DJ, grazie al suo approccio puro e comunitario.




Simbolo indiscusso della disco è la celebre palla specchiata. Negli anni settanta, sospesa sopra le piste e illuminata da fari, creava un’atmosfera magica e ipnotica. Film come Saturday Night Fever l’hanno consacrata icona globale. Oltre la funzione scenografica, rappresentava libertà, evasione e la possibilità di sfuggire alle regole quotidiane. Nell’esposizione viene reinterpretata in chiave poetica dal collettivo olandese Rotganzen qui con due sculture fluide e deformate, adagiate al suolo, che conservano intatto il loro fascino luminoso. Opere che sussurrano inclusività, euforia e vulnerabilità.


Il percorso si chiude con Disco Demolition Night di Hernan Bas, dipinto che richiama il rogo dei vinili avvenuto il 12 luglio 1979 al Comiskey Park di Chicago – visibile qui in un video. L’episodio, noto come Disco Demolition Night, ha segnato l’inizio del declino della disco. Organizzato da Steve Dahl – disc jockey che la definiva una «Malattia da estirpare» – l’evento è stato presentato come protesta contro la commercializzazione musicale ma celava invece connotazioni fortemente razziste e omofobe. Oggi è riconosciuto come un atto discriminatorio, perché in realtà la disco non era solo musica, ma resistenza, inclusione e parlava a tutti non di una sola, ma di tutte le libertà. Ricordiamo che la disco ha ispirato artisti come Madonna e i Daft Punk che ne hanno assorbito lo spirito originario, rielaborandolo in chiave pop e futurista, e mantenendo vivo il messaggio di celebrazione identitaria e apertura culturale.

Disco: I’m Coming Out non è soltanto un tributo a un’epoca straordinaria, ma un invito a riflettere su come un movimento musicale sia riuscito a fondere politica, estetica e collettività. È una mostra imperdibile, che ci ricorda come una semplice pista da ballo possa diventare uno spazio di rivoluzione e speranza.














