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Lo storytelling gioca un ruolo importante in Shelter: Below and Beyond, Becoming and Belonging, la terza edizione della biennale di Helsinki. Diverse opere riguardano storie e narrazioni tratte da cosmologie indigene, dal folklore, da conoscenze ancestrali, e da ricerche di carattere scientifico. Visitabile fino al 21 settembre, la biennale si estende tra l’Esplanade Park, punto di riferimento per la vita sociale e culturale di Helsinki fin dal XIX secolo, dove sono collocate cinque installazioni d’arte pubblica, tra cui la scultura Luce e Ombra (2014) di Giuseppe Penone, l’Helsinki Art Museum, e l’isola di Vallisaari, un’ex base militare, aperta al pubblico per la prima volta nel 2016.
«Come indica il titolo, il rifugio è per noi inteso come un’esperienza che può essere condivisa tra specie, corpi e materiali diversi. Da ceramiche che invitano al riposo a sculture sonore, a installazioni realizzate con biomateriali, le opere dei 37 artisti invitati intendono costruire uno spazio di dialogo e coesistenza tra diverse specie viventi» affermano le due curatrici, Blanca de la Torre e Kati Kivinen.

È significativa la presenza di artiste donne, molte delle quali provenienti dal Sud Globale e da comunità indigene o contesti rurali. All’Helsinki Art Museum l’installazione Cevulj – Path of a Family di Aluaiy Kaumakan, indaga il patrimonio culturale della popolazione Paridrayan – nativa di Taiwan – di cui l’artista è parte, e che aveva lasciato a causa del tifone Morakot che aveva fortemente colpito l’isola. L’opera nasce dalla volontà di testimoniare l’esistenza di un’antica tecnica tradizione tessile taiwanese, che l’artista ha trasformato in struttura abitativa temporanea e rifugio.


L’installazione Council of Beings di Maria Thereza Alves, membro fondatore del Partito Verde di San Paolo in Brasile, riguarda una specifica comunità di San Paolo. È composta da dipinti ad acquerello raffiguranti pietre, erba, crostacei terrestri, anfibi e rettili e da elementi scultorei intesi come rifugi o ripari. Il murale di Marjetica Potrč, The Living World Deliberates the Challenge of Our Time, è anch’essa declinata in disegni di animali, piante e umanoidi, impegnati nel discutere l’istituzione di una relazione egualitaria tra gli esseri umani e il mondo naturale.


Tra i tanti progetti allestiti sull’isola di Vallisaari (più di una ventina). L’ex base militare dista soli 15 minuti di traghetto dal centro città. È piacevole passeggiarci e farsi sorprendere da opere installate su rocce, scogli, alberi e all’interno di vari edifici militari. Ha un carattere speculativo Futurity Island degli artisti/ricercatori Nomeda & Gediminas Urbonas. Una struttura architettonica composta da un assemblaggio di tubature idriche che canalizzano e processano i suoni della natura. Ideata insieme all’architetta Indrė Umbrasaitė, Futurity Island reinterpreta il modulo del dispositivo tubolare sia per favorire la sperimentazione acustica, sia per ricordare che i tubi venivano utilizzati per il drenaggio delle paludi, di cui gli artisti si occupano da diversi anni. Gli Urbonas sono presenti anche alla Biennale di Architettura di Venezia in corso, con Wetland Games, gioco di ruolo che simula l’uso futuro del suolo nelle zone umide, per permettere ai giocatori di esplorare le complesse interdipendenze che modellano la resilienza climatica e i cambiamenti ambientali.

Juan Zamora nell’installazione To Embody an Island, ha raccolto in speciali capsule di Petri diversi microrganismi che vivono nell’isola per seguirne l’evoluzione. Accanto alle capsule ha disegnato e dipinto piante, fauna e agenti non umani che vivono nell’isola con fluido bioluminescente, creato in collaborazione con l’Istituto di Salute Carlos III di Madrid. L’artista messicana Tania Candiani ha invece raccolto in speciali contenitori di vetro alcune radici dell’isola. Sospese come bozzoli, le sculture incarnano la fragilità e la resilienza sia delle radici sia del vetro. Realizzato in silice, feldspato e altri minerali, il vetro ha origine dalla terra, ma la sua forma finale è plasmata attraverso un’intensa trasformazione, passando attraverso il fuoco per raggiungere la sua trasparenza e fluidità. L’installazione include anche una composizione sonora e un video basato su scansioni di radici in crescita.
Negli stessi giorni dell’apertura della Biennale è stato inaugurato il Long Daylight Pavilion di Olafur Eliasson. L’opera segna un momento significativo per l’impegno della città per l’arte pubblica, che ogni anno in occasione della Biennale integrate due opere in modo permanente nello spazio cittadino. L’intervento di Eliasson è sia un intervento architettonico sia un indicatore celeste, che si allinea con l’arco del sole durante il solstizio estivo.















