02 agosto 2025

Habanarquia, un’indagine fotografica all’Avana: intervista a Giovanni Stella

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Scatti di vita quotidiana, osservata con fiducia: abbiamo raggiunto Giovanni Stella per farci raccontare il suo progetto fotografico esposto in mostra al Centro Provincial de Artes Plásticas y Diseño dell’Avana

Habanarquia. Courtesy Giovanni Stella

Habanarquia è il titolo della nuova mostra fotografica di Giovanni Stella inaugurata al Centro Provincial de Artes Plásticas y Diseño all’Avana il 10 giugno. La mostra è curata da Rodolfo Antonio Renzoli Medina, tragicamente scomparso lo scorso 6 giugno. Giovanni Stella è un fotografo, regista e produttore italiano che da 15 anni si occupa delle “immagini” dal punto di vista artistico, cinematografico e pubblicitario. Alle sue spalle si annoverano molte collaborazioni tra cui quella con il MAXXI di Roma, ha prodotto circa dieci cortometraggi tra cui Yousef di Mohamed Hossameldin, candidato al David di Donatello nel 2019 e Ladri d’infanzia, di cui ha curato la regia che vinse nello stesso 2019 il Marettimo Italian Film Festival. Lo abbiamo intervistato per raccontarci della sua mostra all’Avana.

Habanarquia, Courtesy Giovanni Stella

Da dove nasce il nome del progetto Habanarquia? Qual è il suo significato?

«Il titolo nasce dall’accostamento di “Havana” e “anarchia”; inizialmente il suo significato voleva raccontare un’Avana senza regole, che a volte può sconfinare nell’assurdo o, in ogni caso, in forme di esistenza per noi “occidentali” molto distanti e quasi inaccettabili. Con il passare del tempo, ho poi consolidato il pensiero che la vera anarchia è nel mio modo di vedere questo mondo, senza preconcetti né regole fondamentali e così anche la raccolta di scatti che, al primo impatto, sembrano non seguire una linea narrativa precisa e omogenea. Confermo però che il racconto esiste ed è ben saldo nel voler esprimere questo mio disagio nel non riuscir a definire e confinare in una linea narrativa quella che è l’Avana e Cuba intera».

Habanarquia, Courtesy Giovanni Stella

Chi vuoi coinvolgere attraverso la mostra?

«Voglio rivolgermi a un pubblico ampio, disomogeneo, in primis la popolazione havanera stessa per poi raggiungere l’occhio occidentale».

Perché proprio l’Avana come “ambientazione” dei tuoi scatti?

«Questi scatti seguono e accompagnano la realizzazione del docufilm Miregla, di cui abbiamo realizzato le riprese nel 2022 e 2023; sono quindi nati dall’occasione di poter assistere e frequentare amici e personaggi legati all’ambiente havanero, come artisti, sacerdoti Yoruba e le stesse strade dell’Avana».

Cosa rappresentano i tuoi scatti? Quali sono i soggetti che prediligi?

«Si tratta di scatti rubati e istantanee di vita quotidiana, rappresentazione della moltitudine culturale che si presenta e quindi di socialità, di persone che fanno i luoghi. I miei scatti ritraggono il presente, il distacco da una visione turistica e commerciale di un luogo che ha una moltitudine di storie da raccontare e di persone da presentare».

Habanarquia, Courtesy Giovanni Stella

Cosa vuoi trasmettere con questo progetto fotografico? Quali sono le tue aspettative?

«L’intenzione è di far conoscere un’Avana e una Cuba diverse da quelle note alla moltitudine (colori, mare e macchine anni ’50), di sdoganare rappresentazioni spirituali come le pratiche di magia nera che di oscuro hanno però ben poco. Al contrario, i miei scatti veicolano fiducia per il prossimo, per il futuro e per l’anima. Infine voglio più banalmente raccontare la mia visione del mondo con al centro l’individuo che DEVE a tutti i costi darsi da fare per accettare se stesso (in termini di umanità) e fare il possibile per preservare il pianeta che ci ospita. Le mie aspettative, che ho avuto modo di riscontrare durante l’inaugurazione e ancora prima nei lunghi confronti con Rodolfo, il curatore, sono quindi quelle di trasmettere un messaggio di positività riuscendo però a sensibilizzare gli animi, con immagini forti, contrastate e decise».

Habanarquia, Courtesy Giovanni Stella

Come sono esposte le tue fotografie nel percorso di visita? Il curatore ti ha suggerito un percorso tematico?

«Il lavoro con Rodolfo è stato lungo, ma meraviglioso, sin da subito allineati sulla necessità di realizzare una mostra così, con molti scatti e poca coerenza narrativa. Rodolfo era un vero artista, innovatore nel suo campo (l’hip-hop e il rap) e visionario nella pittura e nelle arti figurative. Da subito mi ha dato la fiducia di cui avevo bisogno per selezionare gli scatti e condividere con lui la mia visione, immediatamente corrisposta.

La mostra inizia con una sala interamente dedicata ai primi piani di persone incontrate per strade o di amici coinvolti nel progetto, prosegue poi nella sala principale dove due pareti, disposte frontalmente, separano la strada (ovvero scatti di vita quotidiana) dalla spiritualità. Da un lato, quindi, la “normalità” dall’altro, l’assurdità di rituali santeri e in particolare la processione di Rincon, evento chiave della spiritualità youruba (una processione dove le persone fanno voto, gattonando sulle ginocchia per circa 8 km, al fine di ottenere la grazia dal santo).

L’ultima sala è dedicata a me, al curatore e alle intenzioni, una parete quindi con quattro scatti che ci ritraggono, la mia biografia dove si anticipa qualcosa anche del documentario Miregla e l’ultima foto, l’unica scattata in Italia, che rappresenta un casolare abbandonato sulla costa salentina con incise le parole SAVE THE PLANET. Un lavoro di squadra che ci ha visti legati a una visione comune e che, fino all’ultimo giorno, ci ha fatto condividere momenti di gioia e soddisfazione nel vedere il realizzarsi del nostro progetto».


Quale potrebbe essere un aggettivo per descrivere la mostra?

«Direi “Havanarchica”, è un progetto che solo qui poteva nascere e da qui doveva iniziare, coraggioso e visivamente forte, così lo hanno descritto quelli che fin ora hanno dato il loro riscontro, tra cui anche Cesare Biasini Selvaggi che mi intervistò lo scorso anno nel suo programma tv “Stato dell’Arte”».

Perché il pubblico dovrebbe interessarsi a questo tuo progetto?

«Perché è una mostra che mette al centro la forma fotografica, la fotografia in quando disegno di luce senza eccentricità dell’autore. Perché evidenzia aspetti anche sconosciuti e mostra un’Avana diversa e profonda, una ricerca che mi ha visto lanciato per terra o nascosto dietro muri, per cui ho preso parolacce e fatto nuove amicizie. Una vera “Anarchia”!».

Habanarquia. Courtesy Giovanni Stella
Habanarquia. Courtesy Giovanni Stella

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