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Cinque cose da sapere su Lee Miller, aspettando la mostra al Camera di Torino
Fotografia
di redazione
Dall’1 ottobre 2025 all’1 febbraio 2026, CAMERA – Centro italiano per la fotografia di Torino ospita una grande retrospettiva dedicata a Lee Miller, figura leggendaria dell’arte e del fotogiornalismo. Curata dal direttore artistico Walter Guadagnini, la mostra presenta oltre 160 immagini dai Lee Miller Archives dal 1930 al 1955, molte delle quali inedite, aprendo un ampio squarcio sul percorso artistico dell’autrice americana. Dai primi ritratti surrealisti e le solarizzazioni, ai servizi di moda per Vogue, fino alle foto di guerra drammatiche, le opere sono presentate con una chiave di lettura che intreccia dimensione pubblica e sguardi intimi, per raccontare l’esistenza e il lascito di una donna che ha fotografato l’arte, il potere e l’orrore, trasformandoli in atto di testimonianza.
Ad accompagnare la mostra ci saranno un catalogo di Cimorelli Editore e un programma di educazione visiva rivolto a tutti. Questa esposizione segna anche l’inizio dei festeggiamenti per i 10 anni del Centro, con un ricco calendario di eventi.
Nel frattempo, ecco cinque cose da sapere su Lee Miller.
Dalla modella americana all’apprendista di Man Ray
Nata nel 1907 a Poughkeepsie, New York, Elizabeth “Lee” Miller debutta come supermodella per Vogue: la sua copertina del 15 marzo 1927 la consacra alla ribalta americana. Ma presto la sua ambizione supera la posa: a Parigi entra nel cerchio di Man Ray, dove impara le tecniche fotografiche, diventa sua assistente, modella, musa e compagna e sperimenta la sorprendente tecnica della solarizzazione insieme a lui.

Voce surrealista in Europa e in Egitto
Nei primissimi anni Trenta, Miller si inserisce nella cerchia surrealista parigina: è amica e fonte d’ispirazione per Picasso, Paul Éluard, Max Ernst, Eileen Agar, Leonora Carrington e Dorothea Tanning. Dopo il matrimonio con Aziz Eloui Bey, vive in Egitto (1934–37), dove realizza fotografie desertiche cariche di ambiguità e slancio surrealista, tra queste l’imponente Portrait of Space.

La fotografa del Secondo conflitto mondiale
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Miller lavora come corrispondente per British Vogue, documentando il Blitz londinese, la liberazione di Parigi, la battaglia di Saint-Malo e l’orrore dei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald. Lo scatto iconico che la ritrae, Hitler’s bathtub, con stivali sporchi di fango sul bordo della vasca usata dal dittatore nazista, rimane tra le immagini più celebri del conflitto.

Una vita segnata dal trauma e dalla rinascita
Il figlio Antony Penrose ha scoperto negli anni Ottanta oltre 60mila negativi, stampe e documenti nel solaio di casa dopo la sua morte, avvenuta nel 1977, dando così avvio alla sua fama postuma. Miller ha sofferto di disturbo da stress post-traumatico e depressione, anche a causa dell’infanzia traumatica e delle esperienze di guerra. Dopo il conflitto si ritira nella campagna del Sussex con il marito Roland Penrose, abbandonando progressivamente la fotografia e dedicandosi all’arte culinaria e alla vita domestica, pur continuando a ospitare amici artisti come Picasso, Man Ray e Miró a Farley Farm House, oggi museo e archivio.
Il suo lascito come pioniera della fotografia
Lee Miller ha rotto paradigmi di genere: da modella a fotografa professionista, da artista surrealista a inviata di guerra. Con la sua visione unica, che unisce estetica, pulizia formale e attenzione per la realtà delle cose, Miller è stata riconosciuta una pioniera della fotografia solo dopo la sua morte, grazie soprattutto al lavoro di valorizzazione del figlio. Oggi la sua figura ha ispirato anche numerosi film, tra cui il biografico Lee (2023) interpretato da Kate Winslet e Civil War (2024) diretto da Alex Garland.














