-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
Gilberto Zorio accende Castelbasso: sessant’anni di Arte Povera tra luce, alchimia e trasformazione
Mostre
E anche quest’anno la Fondazione Malvina Menegaz per le Arti e le Culture, presieduta da Osvaldo Menegaz, trasforma il piccolo paese di Castelbasso nel Borgo della cultura. Il centro in provincia di Teramo, da anni sede di mostre diffuse di grande spessore, accoglie un’edizione che vede protagonista uno dei principali esponenti dell’Arte Povera, Gilberto Zorio.
Nato nella provincia biellese nel 1944, Zorio è uno dei simboli di un movimento che ha fatto la storia dell’arte italiana e internazionale del secolo scorso. Enzo Cucchi e la transavanguardia due anni fa, la doppia personale dell’abruzzese Giuseppe Stampone l’anno scorso. L’artista della «processualità» e delle opere mutevoli torna quest’anno a Castelbasso a ventidue anni di distanza dalla collettiva Alchimie del Mito, che lo aveva visto tra i protagonisti assieme a Nunzio, Marco Gastini, Paolo Icaro e Luigi Mainolfi.

Ph Gino Di Paolo
Inaugurata il 26 luglio scorso, la mostra di Castelbasso si snoda tra Palazzo De Sanctis e Palazzo Clemente, proponendo un’incursione nei sessant’anni di carriera artistica di Gilberto Zorio. Opere realizzate sin dalla metà degli anni Sessanta, passando per i decenni successivi fino ad arrivare ai lavori più recenti. Artista «alchemico», la cui pratica si basa su una complessa commistione tra reazioni fisiche, scultura e operazioni effettuate tramite fonti di illuminazione e reazioni chimiche in corso, da sempre Zorio lavora con materiali e tecniche inconsueti, dando vita a combinazioni di elementi e stratificazioni di significati che lo hanno reso un pioniere dell’arte concettuale e dell’installazione.
La prima parte della mostra si svolge a Palazzo De Sanctis. Si sviluppa sui tre piani dell’edificio ed è organizzata secondo un criterio cronologico, un tuffo nei momenti chiave che hanno definito la pratica di Gilberto Zorio. I visitatori vengono introdotti alle sopracitate reazioni fisiche e chimiche realizzate dall’artista piemontese dalla seconda metà degli anni ’60 attraverso l’utilizzo di materiali quali tubi dalmine, cemento, polvere di zolfo, solfato di rame, acido cloridrico e rame, per poi passare ai lavori del decennio successivo in cui sono la luce e la parola che diventano i punti cardine da cui originano le «trasformazioni» operate da Zorio. Al piano terra troviamo opere come Letto e Sedia, entrambe del 1966, elogiate da Germano Celant che, in occasione delle prime mostre personali dell’artista, le aveva definite «Enfatizzazioni visuali di un avvenimento instabile».
Ilaria Bernardi, curatrice della mostra, a proposito del tentativo di Zorio di trattare l’arte come campo energetico inesauribile e in costante mutamento: «Focalizzatosi sull’energia che in quanto tale produce movimento, nel suo lavoro Zorio supera la linearità dello spazio e soprattutto del tempo. Alla stregua del giavellotto che più viene portato indietro dalla mano che lo impugna più andrà lontano una volta lanciato, così il lavoro dell’artista prende lo slancio andando indietro, indagando nella storia del mondo, per proiettare lontano, nel futuro, i suoi miti e archetipi».

Al primo piano del palazzo, il percorso propone lavori afferenti alla produzione successiva di Zorio. Qui, l’attenzione si sposta sulla parola; in particolare, una riflessione sul suo rapporto con il concetto, così come sulla dicotomia tra buio e luce. Installazioni in cui Zorio si serve di materiali brillanti come nichel cromo incandescente – come nel caso di Confine incandescente del 1970 – che permettono alle opere di mostrare la propria anima. A proposito di queste composizioni, l’artista in persona aveva dichiarato: «Questo permette di vedere cose che normalmente non si vedono. L’invisibile diventa visibile. La realtà è una rivelazione, cioè l’esatto contrario».
All’ultimo piano di Palazzo de Sanctis e in prossimità delle scale del piano terra vi sono infine una serie di opere realizzate dalla fine degli anni Settanta in poi, giungendo quasi ai giorni nostri, con un focus importante sul giavellotto – che salta fuori nell’opera di Zorio nel 1971. Simboli e significati che convergono, si mescolano in opere dalla tensione quasi palpabile, come nel caso di Stella (2009), formata da un incastro di giavellotti. O come in altre opere in cui il giavellotto assurge a elemento di rottura tra la tensione energetica trattenuta dal mondo del reale e lo spazio vuoto.
Palazzo Clemente accoglie la seconda e ultima parte dell’esposizione. Protagonista assoluta è proprio la stella, simbolo d’eccellenza del linguaggio di Gilberto Zorio a partire dal 1972. «La stella è un’immagine fantastica, estremamente energetica, galleggia nello spazio…metafora di un miraggio irraggiungibile ma pensabile…» riflette l’artista a proposito dell’amato corpo celeste.

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, curato da Ilaria Bernardi e pubblicato nel 2025, al cui interno è possibile approfondire le opere in mostra grazie al testo critico della curatrice, oltre che consultare diverse vedute della mostra e un apparato biografico e bibliografico.




![DSC_4960[1]](https://www.exibart.com/repository/media/2025/08/DSC_49601-1068x712.jpg)









