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Capri, uno spazio di origine e trasfigurazione nelle fotografie di Antonio Biasiucci
Fotografia
di Diego Osimo
Parte di uno stesso corpo, unico tra abisso, vetta e superficie, in cui muove il derma instabile che ora veste tre cuori, poi uno sguardo cieco. L’aria la nutre, poi la corrode: le schegge di questa pelle diventano schiuma e clorofilla e, ancora, chiaroscuri in forma di memoria. Cellule che oscillano in un mutevole mosaico di pluralità, nutrite di interferenze e immuni all’ordinario. Per ogni forma vige un confine diverso sul profilo sempre uguale della femmena prena: per alcune di esse, sulla terra non vi è respiro, per altre è luogo di riposo — eterno o momentaneo — mentre altre ancora nella terra confondono i propri contorni. Insula, di Antonio Biasiucci (Dragoni/Caserta 1961), a cura di Gianluca Riccio, è il racconto di queste forme uniche nella continuità di una metamorfosi tra luogo, specie e presenze inanimate, in mostra a Capri presso la Certosa di San Giacomo, fino al 30 ottobre 2025.

Il progetto è ideato dall’Associazione Il Rosaio – Arte e Cultura Contemporanea e sostenuto da Strategia Fotografia 2024, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Collaborano al progetto: la Direzione Regionale Musei della Campania, i Musei e Parchi Archeologici di Capri. L’Accademia di Belle Arti di Napoli e la Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee — Museo Madre Napoli sono invece partner di progetto.
Un arcipelago di sette monoliti scandisce attraverso nere fenditure — tutte disposte in modo differente — l’ampia navata della Certosa che accoglie la nuova ricerca fotografica di Antonio Biasiucci, elaborata durante un periodo di residenza in cui l’artista ha sviluppato una rilettura intima e immaginifica dell’Isola di Capri, oltre ogni immaginario comune. L’isolamento geografico diventa così un’occasione «Di raccoglimento interiore in cui poter rintracciare le forme primigenie dell’esistenza».

La trasmutazione degli elementi in altri diversi e in materia prima spirituale restituisce sette multiformi sequenze lineari e reversibili, ognuna di esse composta di nove unità. L’opera fotografica di Biasiucci include anche la materia luminosa nel processo alchemico: alcuni bagliori in collisione con gli oggetti sembrano generare altra luce piuttosto che inombrare; allo stesso modo, alcune buie feritoie si aprono sui soggetti come affilati fasci d’ombra. Luce che graffia e «Scarnifica» rivelando intime essenze.

Contorni e volumi erosi e rigenerati da una primordiale complessità, come un’istantanea mitosi cellulare che l’artista rende osservabile in un tempo unico. Il ritmo di ogni serie brilla di forme affini, d’un tratto interrotte, poi di nuovo simili. Ogni interruzione resta tale soltanto sul piano visivo, mentre lo spirito si libra, celato, ma tangibile. Un imprevedibile alternarsi tra immersioni e risalite di un flusso vitale che attraversa le immagini degli animati o inanimati personaggi: rocce, alberi spezzati, rovine, animali terrestri e creature marine — di cui alcune dormienti su un vitreo fondale irrorato di formalina, ma risvegliate da un vivido e sacro lume. E nella metamorfosi si scorge anche la pittura, quella di Karl Wilhelm Diefenbach — le cui opere sono conservate e osservabili nelle immediate vicinanze — che restituisce all’anatomia dell’isola anche le immagini stesse che, con i resti romani di Villa Jovis, innestano nella realtà la sua ostensione, sfumando la soglia tra visione e rappresentazione.

La disposizione orizzontale delle immagini consente allo sguardo di navigare tra i sette approdi e, al contempo, onorare il luogo che li ospita. Nello spazio luminoso di una morbida commistione, l’osservatore può inabissare gli occhi verso il basso non privandosi di una, seppur minima, contaminazione “periferica” da parte del luogo, che resta fruibile nel pieno del suo candore.

Lo sguardo di Antonio Biasiucci con Insula restituisce un micromondo di molteplicità, narrate secondo rimandi, legami e nessi inediti, così com’è inedita la visione di Capri, capovolgendo le profondità in emersioni e liberando l’apparente ignoto. Un’isola che non è più distante e sola tra le acque, ma diventa premessa, matrice di origini con cui svelare le tracce di un’articolata e non più celata evoluzione.
















