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L’artista che rilancerà la Biennale di Alessandria d’Egitto: intervista a Moataz Nasr
Arte contemporanea
Moataz Nasr in questi giorni ha ricevuto dal proprio Paese un incarico di grande responsabilità: rilanciare la Biennale d’Arte di Alessandria che, con quella di Venezia e San Paolo, è una delle più longeve al mondo ma che non si svolge da 12 anni. Artista poliedrico e autodidatta, tra le le voci più autorevoli dell’arte africana e con un forte legame con l’Italia – scoperto e lanciato dalla Galleria Continua di San Gimignano nei primi anni del 2000 – Moataz Nasr non ha mai perso il senso delle radici arabe, scegliendo di mantenere la residenza in Egitto, pur essendo attento al contesto occidentale che ne ha decretato il successo.
Nato ad Alessandria d’Egitto, nel 1961, ha diviso il suo lavoro tra l’impegno socio-culturale nell’area di Fustad del Cairo Vecchio – dove nel 2008 ha fondato DARB 1718, organizzazione no profit con l’intento di «Far progredire il fiorente movimento artistico contemporaneo in Egitto», in uno spazio oggi demolito, e più volte curatore di Something Else, l’off-biennale della capitale – e quello più istituzionale: nel 2017 ha rappresentato il Padiglione Egitto alla Biennale di Venezia.
Lo abbiamo incontriamo per farci anticipare la propria visione curatoriale della mostra, che si intitolerà This Too Shall Pass, e cosa potrà significare la costruzione di una piattaforma culturale in una città sospesa tra storia e futuro e aperta sul Mediterraneo, come Alessandria.

Moataz Nasr, è un prestigioso ma anche oneroso incarico quello di rilanciare un’Istituzione dormiente da 12 anni, quale è Biennale d’Arte di Alessandria d’Egitto, fondata nel 1955. Le faccio, quindi, prima di tutto, una domanda emozionale: cosa significa, per lei, essere oggi alla guida della Biennale nel suo Paese?
«Non mi sarei mai aspettato di ricevere questa mission, soprattutto data la mia annosa opposizione alle politiche culturali e lo stato di abbandono che, a volte, ha portato alla paralisi di tutte le attività culturali, con effetti devastanti sul paesaggio culturale del Paese. Questa responsabilità è immensa; è come lanciare un sasso in uno stagno stantio, ricoperto da una fitta coltre di alghe che impedisce ai raggi solari di raggiungere l’acqua sottostante. La nostra sfida non è solo quella di smuovere la superficie, ma di garantire che il risveglio prosegua fino a quando le alghe non saranno completamente debellate. Per rendere possibile tutto ciò, ho creato un comitato forte e diversificato, in cui ogni membro apporta una profonda competenza nel proprio campo, affinché insieme possiamo trasformare questo sogno in realtà».
Ha già idea della visione curatoriale che intende portare? Alessandria è una città con un forte patrimonio culturale e una storia cosmopolita. Pensa di valorizzare questa identità all’interno della Biennale o saranno altre le tematiche di questa prima edizione di rilancio?
«This Too Shall Pass (ndr, Passerà anche questo) è il titolo di questa edizione della Biennale di Alessandria. Segna un distacco dal formato tradizionale: un’edizione che intende mettere in luce l’identità unica di Alessandria e le sue radici profonde nella storia. Invece di limitarci ai musei per illustrare la storia dell’arte, porteremo la Biennale nelle strade, nei siti storici, negli edifici antichi e tra le loro mura. La città stessa si trasformerà in un’opera d’arte armoniosa, riacquistando la sua giovinezza e il suo splendore. Alessandria, come la fenice, ha resistito a terremoti, inondazioni e bombe, eppure ogni volta risorge, rinascendo alla vita».

L’arte è anche strumento politico, sociale, spirituale. Quale ruolo attribuisce all’arte in un contesto regionale come quello egiziano e mediterraneo? Inoltre, nel video “The mountain”, con cui ha rappresentato l’Egitto alla Biennale di Venezia del 2017, era evidente una grande sensibilità da parte sua per la condizione femminile, argomento forse oggi particolarmente spinoso se si guarda al medio-oriente in forte contrasto con la cultura occidentale, dove è forte l’affermazione individuale delle donne e della cultura woke. Come pensa di risolvere questo aspetto, nella Biennale di Alessandria?
«Non è stato facile alla Biennale di Venezia del 2017. Eppure, ora, essere chiamati a far rivivere la Biennale di Alessandria è avere via libera: una sfida e un’opportunità che scopriremo insieme. Per me, il ruolo dell’artista somiglia alla mosca di Socrate, come la descrisse Platone. Proprio come la mosca punge il cavallo, rendendolo ansioso e irrequieto, Socrate sconvolse la sua società, provocando riflessione e incitamento».
Come saranno selezionati gli artisti e i Paesi partecipanti? Pensa che la narrazione visiva che metterà in atto con la sua Biennale possa dare voce anche a chi resta ai margini del discorso artistico globale?
«La Biennale di Alessandria è stata originariamente concepita per rafforzare i legami culturali tra i paesi del Mediterraneo. Tuttavia, questo non ci impedirà di includere artisti provenienti da oltre questo ambito. La Biennale si svilupperà in diverse sezioni, che saranno annunciate a tempo debito. Uno dei miei compiti principali sarà la selezione di artisti e opere, riunendoli in un’unità integrata che rifletta chiaramente il tema della Biennale. Questo tema, a sua volta, fungerà da ampio ombrello, sotto il quale potranno essere presentate molteplici idee opportunamente discusse».

In che misura la Biennale sarà aperta al pubblico e integrata nel tessuto urbano della città antica e moderna? Interesserà anche spazi non convenzionali?
«Come ho già detto, questa Biennale non sarà tradizionale né confinata ai musei. Si svilupperà invece in un’ampia area del centro città, tra edifici storici, spazi pubblici e giardini. In altre parole, la Biennale sarà per la gente e tra la gente».
Lei è innamorato dell’Italia e so che intende coinvolgere in maniera significativa il nostro Ministero della Cultura in questo progetto; peraltro si potrebbe approfittare per allacciare un ponte tra antico e contemporaneo, giacché a ottobre sarà inaugurata a Roma, nelle Scuderie del Quirinale, la mostra sull’Antico Egitto Tesori dei Faraoni. Quale ruolo potrà avere l’Italia e il nostro Ministero nella Biennale di Alessandria?
«I miei esordi e molti dei miei più grandi successi sono avvenuti in Italia, a partire dalla Biennale di Venezia del 2003, dove ho partecipato con Okwui Enwezor al primo Padiglione Africano all’Arsenale. Quel traguardo ha aperto la strada alla mia collaborazione con Galleria Continua dal 2004 in poi, segnando il mio percorso artistico che è proseguito in ascesa. Per questo motivo, l’Italia occupa un posto molto speciale per me e sarà importante per noi collaborare con il Ministero dei Beni Culturali su molti progetti durante la Biennale e forse anche oltre».

Per chiudere, un’ultima domanda: se potesse scegliere un’opera della sua carriera che meglio rappresenta lo spirito che vuole portare in questa Biennale, quale sceglierebbe?
«È difficile scegliere un’opera che esprima appieno la Biennale, poiché ognuno dei miei progetti riflette una dimensione importante della mia poliedrica formazione personale. Tuttavia, se dovessi scegliere un’opera simbolica che risuoni fortemente con il pubblico, indicherei I Am Free, che è stata esposta in molti Paesi del mondo, tra cui Bolzano».














