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Scrivere d’arte come un’opera d’arte: la mostra a Palazzo Collicola di Spoleto
Mostre
Nello scoprire una collezione d’arte si ha sempre il desiderio di comprendere quali siano state le scelte strategiche, di interesse e di mercato che hanno orientato le acquisizioni. Nel caso di quanto realizzato dalla collezione Primo De Donno, comprendente lavori dal Futurismo sino agli anni Novanta, è avvenuto ciò che di più raro potesse accadere, in quanto alla raccolta di opere su carta, tele, sculture, fotografie e installazioni è stata affiancata, con un brillante criterio di erudizione scientifica, un sistematico insieme di quanto in parallelo avveniva nel mondo dell’editoria e nella circolazione cartacea indipendente. Pertanto quanto proposto alla mostra Listen to Your Eyes. Opere e letterature artistiche da una collezione privata, con una selezione di opere dalla collezione De Donno, in programmazione fino al 2 novembre 2025 presso Palazzo Collicola di Spoleto, intende indagare e ricostruire l’ordito culturale mantenuto in vita da artisti, critici, galleristi, scrittori, poeti e giornalisti, come principali testimoni dei cambiamenti artistici verificatesi nel tempo.
Ne emerge un racconto inteso a ricostruire non solo le testimonianze ma anche i meccanismi, alcune volte strettamente legati ai luoghi e i rispettivi ideatori, in cui l’opera è sia diretta testimonianza ma anche filtro attivo attorno a cui si apre una prospettiva di ricerca estremamente dialettica. Proprio in questo profondo valore di analisi, svolto attraverso il racconto di eventi, comunicazioni e scritture, il progetto risulta davvero efficacemente curato da Primo De Donno, Saverio Verini e ViaIndustriae.

Listen to Your Eyes presenta tutte le possibilità di essere inserita nel filone di studi originato dalla pubblicazione La letteratura artistica (prima edizione italiana, 1935) dello storico dell’arte viennese Julius Schlosser Magnino, il quale riconoscendo per primo l’importanza storica del materiale documentale, innalza la critica delle fonti studiate cronologicamente quale disciplina storica e indipendente. Non è affatto secondario il metodo espositivo scelto per la mostra, rigidamente progressivo e strutturato nel rapporto tra opera e materiale esposto in teca, volto a documentare i movimenti artistici dal Futurismo sino agli anni Novanta. Volendo citare il titolo del volume di Germano Celant, la cui edizione esposta in mostra risale al 1976, sembra che l’intenzione dei curatori sia proprio quella di ricostruire una Preconistoria, non solo come ossatura espositiva ma anche come metodo di studio rivolto a più di dieci decenni di storia dell’arte.

Sebbene l’alternanza delle pubblicazioni ricostruisca il flusso vitale che le ha generate, c’è sempre un equilibrio fluido e fortemente calibrato nelle sale. Il materiale documentale, in quanto testimonianza di una scrittura come atto di partecipazione sentito e soggettivo, si svolge tanto in parallelo con l’opera quanto in autonomia, affinché il documento non si ponga in una posizione di dipendenza o superiorità rispetto al lavoro esposto e viceversa. Di particolare interesse è la sala dedicata ai movimenti d’Avanguardia con una cospicua raccolta di scritti dei protagonisti del Futurismo, tra cui quelli di Filippo Tommaso Marinetti. Quest’ultimo è presente con ben cinque pubblicazioni originali a raccontare la dimensione operativa del movimento nella costante necessità di teorizzare e comunicare con le parole, strumento quest’ultimo affatto neutrale inteso a veicolare in modo trasparente concetti e nuovi contenuti d’azione tanto più delle opere.

La mostra è principalmente volta nel comprovare quanto siano stati gli stessi artisti a sviluppare un metodo argomentativo con il pubblico, soprattutto quando per molti di loro risulta pressante la necessità di scrivere per chiarire le proprie idee e criticità. A conseguenza di tale proposito ecco esposto il Manifesto blanco di Lucio Fontana (1946-1966) e il volume della mostra torinese del 1970 di Germano Celant, Conceptual Art, Arte Povera e Land Art, in cui nella confusione teorica che stava investendo il movimento poverista, si chiariscono le posizioni rispetto alle contemporanee tendenze dell’arte concettuale americana.
Sempre con l’intenzione di rilevare un cambiamento nelle fonti indirette della letteratura artistica, viene testimoniato, in corrispondenza degli anni Trenta del Novecento, il rapporto tra arte e la poesia, con la presenza indiscussa dei volumi di Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo ed Eugenio Montale, che intendono riflettere su come cercare la poeticità nelle opere esposte.

Nel percorso tra parole e immagini si trova anche il critico Achille Bonito Oliva con il testo teorizzatore della Transavanguardia risalente al 1980, a cui risponde un’opera di Enzo Cucchi come verifica di quanto il critico militava affermando un ritorno al mestiere «Con le mani in pasta nella materia dell’immaginario», inteso a rompere ogni equilibrio e materializzando con tenacia le assurde e simboliche visioni dell’artista. Si prosegue con le foto di Luigi Ghirri dalla limpida chiarezza di osservazione, aspetti che si conciliano con la prosa poetica ed elegante dedicata al paesaggio italiano nella pubblicazione Umbria Vera (1986) di Cesare Brandi.

Insomma, tutta la ricchezza creativa che pervade le sale intende stimolare libere connessioni, sino a farci riflettere di come dovremmo porci nei confronti della letteratura artistica. E soprattutto quanto le fonti siano riuscite storicamente ad arricchire e modificare i processi cognitivi, di lettura, di interpretazione verso il lavoro dell’artista.

A questo punto è ulteriormente utile domandarsi, come ci annuncia il neon di Maurizio Nannucci, posto all’ingresso delle sale, quante opere siano per i nostri occhi, quali per le nostre orecchie e quante per la nostra presa cognitiva. Ecco lo stimolo della mostra risiede proprio nella rara e felice capacità di non dividere e discriminare l’esperienza letteraria dalle opere d’arte, trattandosi di una forma di conoscenza reciproca, che considera entrambi come elementi strettamente legati e connessi.

Quindi il progetto non è solo l’esposizione di una collezione, bensì si offre come il racconto di una curiosa pratica di studio, che verosimilmente intende fornire un’esperienza precisa e diversificata, mai distaccata dal contesto quale fenomeno storico, sociale e antropologico. Così quella che Julius Schlosser Magnino considerava letteratura artistica è ora riconoscibile in mostra a Palazzo Collicola, con la sua ricca raccolta di fonti scritte, secondarie, dirette e indirette, rivelando un campo di azione che espande e allarga l’intero senso teoretico della storia dell’arte.














