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In ricordo di Maria Vittoria Backhaus: se ne va un’outsider dell’immagine
Personaggi
Maria Vittoria Backhaus amava definirsi «Un’outsider». Il suo è sempre stato uno sguardo autenticamente artistico e ironico sulla realtà e che poteva spaziare dalla moda al paesaggio. Non si riconosceva in molte delle logiche e delle strategie della moda. Non a caso non è mai entrata nel giro delle campagne pubblicitarie, che hanno reso famosi e richiesti tanti fotografi della sua generazione. Il suo territorio era un altro: gli editoriali, i progetti speciali, le immagini pensate come narrazione e costruite come piccole scenografie, mai solo come consumo.

L’approccio all’immagine come attitudine di vita
Backhaus non ha mai nascosto il suo approccio scenografico: «Ogni fotografia per me è un piccolo presepe laico. Amo costruire mondi, con ironia e leggerezza». Dai fotoromanzi ai concorsi di bellezza per cani, dai ritratti di Carla Fracci e Caterina Caselli agli still life surreali, tutto entrava a far parte di questo teatro personale. Questa libertà le ha permesso di muoversi in una dimensione tutta sua, sempre un passo di lato rispetto al sistema.

Un percorso che ha avuto complici e amici importanti: tra i tanti uno su tutti è stato Walter Albini, padre del prêt-à-porter italiano, con cui ha condiviso in primis un’amicizia e poi una collaborazione di lunga durata. Come con Carla Sozzani, la loro amicizia attraversava la moda, l’arte, la vita, con quella complicità rara che si nutre di rispetto reciproco e di sguardi affini.
Quando ho incontrato Maria Vittoria lo scorso anno per la mostra dedicata a Walter Albini al Museo del Tessuto di Prato, aveva rievocato diversi aneddoti, tutti emozionanti, sulle sue avventure di viaggio e lavoro con lo stilista: «Quando siamo tornati da un viaggio in India Walter aveva portato una grande quantità di abiti da cui ha poi sviluppato una collezione indiana per Trell e per la foto abbiamo creato una montagna di stracci su cui stava seduto come un idolo indiano con un fiore in testa. Per lui era importante inventare un racconto con una visione sempre all’avanguardia».

Oggi resta il ricordo di una donna libera, ironica, capace di sorprendere e spiazzare. Una fotografa che ha scelto la strada più scomoda, quella dell’autenticità. Una vera outsider, con la leggerezza di chi ha saputo restare fedele a se stessa e alle proprie amicizie più vere.
Il percorso di Maria Vittoria Backhaus
Maria Vittoria Backhaus – scomparsa a 83 anni – è stata una delle figure più interessanti e trasversali della fotografia italiana. Diplomata in scenografia a Brera, formatasi nel vivace clima del Bar Giamaica, che frequentava insieme ad artisti e creativi come Alfa Castaldi, Ugo Mulas, Piero Manzoni e Lucio Fontana. Backhaus iniziò come fotoreporter negli anni Sessanta per testate come Tempo Illustrato e Il Mondo.
«La fotografia è il saper vedere il mondo, non guardarlo», amava ripetere: una dichiarazione di poetica che la accompagnò per tutta la vita. Malgrado il cognome di famiglia – Mussolini, rinnegato da sempre – fu subito affascinata dalle lotte studentesche e operaie e dalla militanza nell’estrema sinistra: una delle prime donne a dedicarsi al fotogiornalismo in mezzo a una schiera di fotografi maschi.

Il suo passaggio alla moda non significò mai abbandonare la ricerca: gli scatti per Walter Albini, le nature morte per Io Donna, i collage scenografici erano, nelle sue parole, «Racconti visivi, piccoli teatri che nascono da un’idea e diventano vita».
Nel 2023, la retrospettiva al MonFest di Casale Monferrato si intitolava significativamente I miei racconti di fotografia oltre la moda. «Ho sempre pensato che la moda fosse un pretesto, un linguaggio tra gli altri, ma mai un fine», spiegava in quell’occasione. Nel 2025, la Cavallerizza di Brescia le ha dedicato un’ampia personale con oltre cento immagini, dal bianco e nero del reportage beat ai collage teatrali.
Tra le sue pubblicazioni più recenti, spicca Come Together (Rizzoli, 2025), che raccoglie le immagini scattate al leggendario concerto dei Beatles al Vigorelli di Milano. «Ero l’unica fotografa donna in quell’occasione», ricordava con orgoglio, «E sentivo che stavo assistendo a un momento che non sarebbe più tornato».

Con la sua scomparsa, il mondo della fotografia perde una voce pionieristica, capace di spingersi «oltre la moda» per restituire alla realtà le sue infinite sfumature. La sua lezione resta nelle immagini: libere, poetiche e molto ironiche. Non resta che augurarsi che il suo immenso archivio possa essere salvato e valorizzato, un esempio per le nuove generazioni.














