20 ottobre 2025

Un espresso salverà il mondo? La parola allo Studio Diller Scofidio + Renfro

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A margine di Demanio Marittimo KM-278, abbiamo parlato di responsabilità civile, architettura e sostenibilità con Bryce Suite, di studio Diller Scofidio + Renfro, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia 2025 con il progetto Canal Café

Canal Café, 19a Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia. Diller Scofidio+ Renfro, Natural Systems Utilities, SODAI, Aaron Betsky, Davide Oldani. Courtesy Diller Scofidio + Renfro studio
Canal Café, 19a Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia. Diller Scofidio+ Renfro, Natural Systems Utilities, SODAI, Aaron Betsky, Davide Oldani. Courtesy Diller Scofidio + Renfro studio

 Parlare di acqua e di conservazione ambientale, di prosperità e climate change, tenendo i piedi ben saldi sulle rive marchigiane del mare Adriatico ma alzando gli occhi in direzione Venezia. In occasione di Demanio Marittimo KM-278, i curatori Cristiana Colli e Pippo Ciorra hanno saputo guardare agli esiti della 19ma Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia «Non come una collezione di cartoline di architetture dei diversi Paesi», bensì come a «Un territorio in cui simulazioni teoriche, tecniche ed estetiche dell’architettura, impossibili da sperimentare nel mondo reale, possono invece essere messe alla prova».

Tra i numerosi talk, installazioni, performance e lecture del festival, il panel Intelligens. Leoni e Padiglioni “Intelligenti” dalla Biennale Architettura 2025 ha presentato i diversi approcci, temi e linguaggi che hanno caratterizzato gli autori e i Padiglioni premiati dalla Giuria, composta da Hans Ulrich Obrist, Paola Antonelli e Mpho Matsipa.

High Line di New York, courtesy Diller Scofidio + Renfro studio

Da questo brainstorming collettivo, che ha visto la partecipazione di Andrea Faraguna, Michael Obrist, Tatiana Bilbao, Macej Siuda e Bryce Suite, è emersa ancora una volta la capacità della Mostra veneziana di costituire un contesto protetto al cui interno sentirsi liberi di testare l’architettura, i suoi strumenti e i suoi prototipi, una opportunità non soltanto per simulare possibili risposte alle sfide della contemporaneità ma anche per formulare nuove domande. Molte di queste hanno fatto proprie le riflessioni sempre più pressanti riguardanti l’ambiente e la sostenibilità.

Per questo abbiamo intervistato Bryce Suite, senior associate dello studio newyorkese Diller Scofidio + Renfro, in merito al progetto Canal Café, installazione che suggerisce nuovi modi di abitare l’acqua e la laguna, premiata con il Leone d’Oro alla migliore partecipazione alla mostra centrale. Ideato e realizzato in collaborazione con Aaron Betsky, Davide Oldani, Natural Systems Utilities e SODAI, il Canal Café è soltanto uno dei tanti progetti ricchi di sperimentazioni transdisciplinari intrapresi dallo studio DS+R. Noto a livello internazionale per il recupero della High Line di New York, ferrovia sopraelevata abbandonata e ridonata ai cittadini come parco pubblico lineare di grande impatto, lo studio DS+R ha quest’anno regalato alla città-laboratorio di Venezia una nuova prova di performance ambientale e scienza applicata.

Canal Café, 19a Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia. Diller Scofidio+ Renfro, Natural Systems Utilities, SODAI, Aaron Betsky, Davide Oldani. Courtesy Diller Scofidio + Renfro studio

Canal Café è al tempo stesso un meccanismo, un bar, un laboratorio ecologico e un’opera architettonica. In che modo questa installazione rappresenta una sintesi delle parole chiave di questa Biennale, ovvero Intelligens. Natural. Artificial. Collective?

«Abbiamo pensato al Canal Café come a un espresso bar che attinge l’acqua direttamente dalla laguna dell’Arsenale. Si tratta di un sistema di purificazione in grado di trasformare ciò che verrebbe solitamente percepito come pericoloso o sgradevole in un rituale confortante e collettivo: il rituale tutto italiano del bere caffè. L’installazione funziona attraverso un sistema ibrido che combina processi naturali e artificiali per rendere potabile l’acqua raccolta. Da un lato, una micro-zona umida con piante tolleranti al sale (alofite) esegue un’operazione di filtraggio che è lenta, organica, trattiene i minerali e ripropone i ritmi dei cosiddetti ambienti tidali. Dall’altro, metodi artificiali avanzati come l’osmosi inversa e la disinfezione UV eliminano il sale e le sostanze contaminanti. I due flussi vengono alla fine ricombinati per produrre l’espresso. Questo è anche un esperimento su come le micro-infrastrutture distribuite sul territorio possano fungere da complementi agili e flessibili per i sistemi idrici centralizzati da cui le città storicamente dipendono».

Cosa volevate dimostrare?

«Il progetto si pone come riflessione sulla paradossale relazione che Venezia ha con l’acqua: questa è ed è sempre stata, al tempo stesso, fonte di ricchezza e bellezza per la città, ma anche la sua più grande minaccia. Pensiamo al cambiamento climatico e alle alluvioni sempre più frequenti».

Canal Café, 19a Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia. Diller Scofidio+ Renfro, Natural Systems Utilities, SODAI, Aaron Betsky, Davide Oldani. Courtesy Diller Scofidio + Renfro studio

Come è andato il vostro proposito di dare ai visitatori «un assaggio di Venezia»? Quali sono le reazioni più comuni, quando si trovano a bere il caffè prodotto da questo vostro totem sull’acqua?

«Abbiamo visto che le persone provano un misto di disgusto e piacere quando, bevendo il nostro caffè, vedono e scoprono da dove provenga l’acqua utilizzata per produrlo. Nei Paesi sviluppati siamo abituati a dare per scontato il semplice fatto di aprire il rubinetto e trovarvi acqua potabile. È un lusso non doversi preoccupare della provenienza dell’acqua che beviamo ogni giorno: in gran parte del mondo, l’acqua pulita rimane ancora oggi un bene precario che mai può essere dato per certo. Scegliendo di mettere in bella vista i sistemi di purificazione che solitamente restano nascosti, speriamo di fare riaffiorare questa consapevolezza nei visitatori, anche fosse soltanto per il tempo necessario a bere un espresso».

La Biennale talvolta rappresenta l’occasione propizia per dare forma a progetti e visioni maturati nel tempo. Il vostro Canal Café ha finalmente preso vita nel 2025, ma a Demanio Marittimo avete spiegato che l’idea risale addirittura al 2008. Come era nata questa intuizione?

«Per la Biennale di Architettura del 2008, che era curata da Aaron Betsky, avevamo sviluppato un concetto dal titolo pH Project. L’idea era quella di creare qualcosa che prendesse acqua da un canale adiacente, al fine di portarla all’interno dell’Arsenale e filtrarla per produrre caffè espresso. Abbiamo studiato il sistema di purificazione con un’azienda locale specializzata nella depurazione dell’acqua ed eravamo pronti per realizzarlo. Purtroppo, le autorità cittadine dell’epoca non hanno dato l’approvazione alla nostra idea, che a quel punto è stata abbandonata. 17 anni dopo, quando Carlo Ratti ci ha invitato a partecipare alla Biennale del 2025, abbiamo voluto dare a questa idea una seconda chance. Questa volta, le autorità sono state molto più disponibili ad aiutarci a realizzare l’eco-macchina che avevamo in mente».

In che modo si è trasformata l’idea originale nel corso degli anni?

«L’anima del progetto è rimasta invariata, ma il concetto è riuscito a evolvere in maniera significativa. Nel 2008, il processo di purificazione che avevamo in mente si basava esclusivamente sull’osmosi inversa e sulla filtrazione meccanica. In questa nuova forma, invece, il sistema combina processi naturali e artificiali. Questo cambiamento riflette ovviamente il tema della Biennale (Naturale, Artificiale, Collettivo) e la maturata consapevolezza che i sistemi naturali e artificiali devono lavorare insieme per affrontare le sfide più complesse che interessano il nostro pianeta. È stato fondamentale, nella realizzazione, il lavoro dei nostri collaboratori della Natural Systems Utilities, ingegneri specializzati nella depurazione dell’acqua che si sono impegnati a integrare sistemi biologici alle nostre infrastrutture idriche».

A distanza di tanti anni, ecologia e conservazione dell’acqua sono diventati temi ancora più centrali nel dibattito sulle emergenze attuali. Il mondo dell’arte e della cultura può contribuire ad affrontare queste crisi globali?

«Stiamo vivendo una vera e propria crisi. L’acqua dolce è sta scomparendo in tutto il mondo e, mentre la nostra conoscenza, tecnologia e consapevolezza del problema continuano a crescere, la nostra azione collettiva non lo fa. È particolarmente scoraggiante vivere in un Paese in cui i nostri leader politici stanno attivamente lavorando per sabotare anche i modesti progressi compiuti nell’affrontare il cambiamento climatico e proteggere l’acqua. Per questo è di importanza cruciale che piattaforme culturali come la Biennale promuovano spazi di sperimentazione e mantengano la luce sempre accesa su queste tematiche».

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