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Da Marignana Arte a Venezia tre artiste raccontano il “non-ancora”
Mostre
Camminando tra gli spazi di Marignana Arte ci si trova proiettati in un paesaggio non convenzionale, non solo di tela e pittura, ma di tempo sospeso, di attesa sotto tensione, di forma che ancora non si compie. Préludes o della forma in-attesa è un invito a fermarsi prima che l’immagine si chiuda, prima che la narrazione si dispieghi. Nel suo radicamento etimologico (prae — «prima», ludĕre — «giocare, esercitarsi»), il termine “preludio” ci avverte che non siamo di fronte al compimento, bensì al rischio di iniziare, al gioco che precede la forma, al battito che anticipa la visione.
Entrare in queste sale significa abbandonare la rassicurante certezza del finito per sostare nell’intervallo in cui il gesto preannuncia l’immagine e l’immagine custodisce ancora segreti. È un viaggio nell’aurora del visibile, un esercizio di ascolto in cui il tempo si ripercuote palpitando. Préludes è una mostra che intende sospendere ogni affermazione come se l’arte potesse tornare a respirare nel proprio anelito originario.
La struttura del percorso è essa stessa parte del discorso: tre sale, tre artiste, tre modalità di abitare la forma in-attesa e infine uno spazio corale dove i linguaggi si contaminano, si rispondono, fluiscono l’uno nell’altro. Si parte da Greta Ferretti, si attraversa la dolcezza di Sara Pacucci e si giunge all’ascensione di Olga Lepri, un movimento che trascende la natura spaziale per divenire temporale, quasi cosmologico. Ogni sala è un varco, ogni artista un tempo della metamorfosi.

All’interno dello spazio espositivo, la pittura di Greta Ferretti si colloca come primo atto di rivelazione misurandosi con la fragilità dell’apparire. Le sue opere sembrano respirare mentre trattengono lo sguardo. È un linguaggio che abita il confine tra il visibile e l’evanescente, in cui la forma nasce e si manifesta come se si stesse assistendo alla sua prima apparizione. La sua pittura è attesa che diventa tangibile, un inizio che non si concede, sussulta, freme e per questo persiste.
Sara Pacucci accoglie e accompagna. Nei suoi lavori l’immagine intesse una trama di relazioni senza mai osare dominare, dove le figure sembrano emergere da un sogno che non ha ancora deciso se farsi giorno. L’artista restituisce all’attesa la sua dignità alacre, in cui la quiete è il luogo stesso che trattiene in sé un moto vivo. L’immagine diventa così corpo del tempo, un organismo in ascolto, delicato ma saldo nella sua sospensione. In questo riverbero gentile e radicale si intuisce un atto di resistenza in cui la pittura si oppone al rumore, alla velocità, alla saturazione visiva.
Olga Lepri chiude, o forse apre, il movimento. Le sue figure ascendono, ma non per elevarsi oltre; si sollevano per rimanere sospese, nel punto in cui la forma si fa gesto e il gesto si trasforma in un atto di resilienza fragile e sacro insieme. È un’ascesa che non cerca il cielo, non aspira alla trascendenza quanto alla permanenza nel flusso stesso, radicandosi nel labile equilibrio dell’essere, nella grazia del suo restare in armonia tra la gravità e la luce. In questa vulnerabilità si rivela la sua potenza più profonda.

Nell’ultima sala le opere delle tre artiste si ritrovano a convivere, singole voci che si fondono in un’eco condivisa dove la sospensione diventa linguaggio comune e l’attesa un principio attivo. Qui il preludio smette di essere prologo e diventa sostanza tangibile, un tempo simultaneo in cui le forme risuonano insieme come accordi di una stessa sinfonia.
Ciò che Préludes propone non è nostalgia per l’origine, ma un pensiero urgente sull’adesso, sul diritto all’incertezza, all’errore, alla pausa, al “non ancora”. In un sistema che misura il valore dell’immagine nella sua rapidità di consumo e riproduzione, la sospensione diventa atto deliberato di autonomia. Restare nel tempo dell’inizio significa sottrarsi alla logica del risultato, tornare a un’idea di arte come esperienza, non come prodotto. La sequenza delle sale diventa così una drammaturgia della percezione: l’intransigenza calibrata di Ferretti apre lo sguardo, la delicatezza di Pacucci lo accoglie, l’ascensione di Lepri lo libera. E in quel respiro finale lo spettatore si scopre parte del processo, abitante della soglia.
Préludes invita dunque a sostare nella radura della creazione, a sentire la fragilità e la forza del gesto, a riconoscere che il vero potere dell’arte sta nel trattenere. Lì, nell’inizio che non si compie, risiede la più radicale forma di contemporaneità: l’arte come promessa che si rinnova continuamente, preludio infinito al possibile.















