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MTV: a dicembre chiudono i canali dell’impero della musica
Musica
La storia è cominciata il primo settembre del 1997 sulle frequenze di Rete A/TMC2. Le trasmissioni di MTV Italia, canale dell’americana Viacom International Media Networks (con partner Telecom) si aprono a mezzogiorno con il video (il simbolo) di Video Killed the Radio Star dei Buggles (1979), come avvenuto nel 1981 per MTV USA. A seguire il pezzo forte, il concerto MTV Unplugged in New York – Nirvana (il mito). Queste si chiuderanno sul digitale terrestre l’1 luglio del 2016 con l’ultimo video Il paradiso non esiste di Emma, sostituita dalle trasmissioni di VH1, un’anonima rete televisiva musicale della galassia Sky Italia. Nessuno se n’è accorto all’epoca.

Invece, qualche settimana fa l’annuncio shock. La Paramount Global, gruppo internazionale titolare dei canali MTV, ha deciso di chiudere le trasmissioni per MTV Music, MTV 80s, MTV 90s, Club MTV e MTV Live, per il 31 dicembre 2025. A quel punto il colpo al cuore è arrivato per molti. MTV si spegne. Finisce. Come un caro amico di gioventù che non senti da tempo, come un cantante o un attore, un calciatore con cui sei cresciuto ma di cui hai perso le tracce.
Per molti della Gen X e dei Millennials a quel punto sono cominciati i flash back. Sono tornate le immagini di pomeriggi con la tv accesa, per ore, senza cambiare mai canale. Come un’installazione, come videoarte da salotto, da cucina, da cameretta. Uno stream of consciousness esteriore, che ci ricordava quell’estate, quella festa, quel pomeriggio passato a ridere o a piangere. O quel gruppo musicale che da sedicenni, diciottenni o ventenni si andava temerariamente ad ascoltare, a stanare in qualche arena sperduta.

Cominciò tutto con il Grunge, la prima ondata di metà anni ‘90. Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden, Alice in Chains. Poi Lenny Kravitz, Marilyn Manson, Smashing Pumpkins, Radiohead, Red Hot Chili Peppers, Jamiroquai, e poi la wave inglese con Blur, Oasis, Massive Attack e quella West Coast con Eminem, Snoop Dogg, Korn, Limp Bizkit, Linkin Park, Deftones, Nine Inch Nails. Le boy and girl band, Spice Girls, Backstreet Boys, ’N Sync, il pop di Britney Spears e Christina Aguilera. Centinaia, migliaia di ore di musica, a tutte le ore del giorno. Un paradiso catodico.
Ma non erano solo i videoclip a girare sul canale. A supporto c’erano diversi programmi televisivi che lanciavano, commentavano e riproponevano queste esperienze sonore: YO! MTV Raps, Headbanger’s Ball per il metal e l’hard rock, 120 Minutes e MTV Unplugged per l’alternative rock. Per l’Italia programmi ad hoc, calibrati per il giovane pubblico italiano: Band:New, TRL (Total Request Live), Hitlist Italia, MTV on the Beach. Ma anche talk show dedicati alla tarda adolescenza (Avere 20 anni di Mario Coppola), all’affettività, alle relazioni e al sesso (Loveline con Camila Raznovich) o talk generazionali, sperimentali e speculativi (Kitchen e Tokyo Breakfast di Andrea Pezzi).

E poi prodotti di animazione come Cowboy Bebop, Aeon Flux, Alexander, la cinica Daria, Celebrity Death Match, gli sporchissimi Beavis and Butthead. E i primi reality con gente comune come Real World, Road Trip, Next, Date My Mum o con star planetarie come The Osbournes, con Ozzy Osbourne, frontman dei Black Sabbath.
Ora, immaginate tutta questa mole di musica, immagini, video, informazioni, stili di vita, modi di essere, che letteralmente travolgono le generazioni di fine anni ‘90. Una vera e propria bomba atomica culturale.
A mediare questo big flow i VJ italiani, i video-jockey, che avevano un ruolo di “traduzione”, di cornice di collegamento tra il pubblico e le potenti sollecitazioni di MTV. Carini ma non belli, tanta coolness, vestiario simile a quello indossato dagli artisti dei videoclip, inglese masticato bene, contatti, show e interviste nelle piazze e negli studi italiani. Enrico Silvestrin, Marco Maccarini, Kris & Kris (Kris Grove e Kris Reichert), Victoria Cabello, Giorgia Surina e Alessandro Cattelan. Erano ragazzi della porta accanto, che parlavano, ridevano e scherzavano con le star di MTV. Un sogno (o un incubo).
Era la dimostrazione che chiunque poteva farcela. MTV aveva abbattuto la quarta parete catodica. Erano ragazzi come tanti, potevi incontrarli per strada, a ogni angolo. E per anni MTV ha diffuso quella (falsa) sensazione di appartenere tutti a una generazione omogenea, urbana, trendy, cosmopolita, cresciuta e inserita in the core della Musica internazionale, dunque nel centro del Sistema.

MTV è stata dunque in grado di creare uno spazio di sperimentazione, un hub, un frullatore in cui mettere insieme tutte le culture, le visioni maturate negli anni ‘80 (il grunge, il metal, l’hip hop, il trip hop, la cultura del videoclip, della dance, del fashion) ed esplose nei ‘90.
Ha imposto lo standard dello storytelling nei videoclip, con personaggi e protagonisti capaci di raccontare storie in pochi minuti. Di fondere immagine, colori con la melodia, con le note, producendo una vera e propria sinestesia generazionale.
Il verde di Smell like Teen Spirit, il rosso e il nero di Thriller, il giallo di Setting Sun (Chemical Brothers), il nero di The Man That You Faer (Marylin Manson), il riflesso di Mo Money Mo Problems (Notorius B.I.G.), il verde di Hey Ya!, il grigio di Firestarter, il rosso e il bianco di Seven Nation Army.
Insomma quella nata a cavallo di quegli anni è stata l’unica generazione formata non da cluster di tecnologie (radio, telefono, tv, cinema) ma da una singolo soggetto privato. Una singola impresa, una singola corporation che ha sfruttato modi e tendenze generazionali e giovanili per fare affari appoggiandosi su tutti i linguaggi a disposizione: musica, immagine, anime, talk show, reality. Con un’idea potente, abbastanza banale, venduta da sempre da tutti i broadcaster ma che, in effetti, solo MTV è riuscita a realizzare veramente. Mettere te, giovane ragazzo o ragazza adolescente come tanti, al centro di tutto.

Se per Michel Foucault il potere non si esercita più semplicemente sul corpo, ma «Produce corpi e soggettività», ebbene MTV ha sapientemente tradotto tutta questa l’energia, i desideri, le emozioni, il bisogno di sentirsi qualcosa o qualcuno in musica, in cultura. Dunque in prodotto, da vendere. Una merce estremamente complessa, lavorata, in grado di riprodurre la vita intera in tutte le sue sfumature, anche quelle più dolorose.
Le morti di Kurt Cobain e poi quella di Layne Staley (Alice in Chains) da questo punto di vista hanno probabilmente rappresentato il momento determinante, il mito fondativo di tutta la vicenda di MTV.
Due star fragili, vittime non solo di depressioni, farmaci e droghe ma anche del micidiale mix di star system e fanbase aggressive pervasive, che proprio grazie a MTV muovevano i primi passi, anche grazie a una spettacolarizzazione organica alla mission, continua e senza tregua.
Ma soprattutto queste due vicende hanno reso MTV non un semplice canale musicale, un banale showbiz culturale ma un racconto profondamente vero, credibile, una testimonianza cruda di una generazione di ragazzi, quella a cavallo tra gli ‘80 e ‘90, nata nell’America della West Coast e del Midwest, deindustrializzata, svuotata, sofferente, introversa, autodistruttiva. Una storia generazionale, di successo e di dolore, di elevazione e di caduta. Che aveva tutto per funzionare ed essere venduta a tutto il mondo. E funzionare alla grande. Insomma una forma di avanzatissimo biocapitalismo, affinato, modificato negli anni, che ha sfruttato e venduto non solo programmi, dischi e concerti ma modelli di soggettività sotto forma di stili vita e generi musicali customizzabili, che sarebbero collassati in un unico spazio televisivo, sociale, economico e culturale.
E se Mark Fisher avrebbe detto che «La cultura pop è capace di rappresentare ogni forma di disillusione, ma non di immaginare un’alternativa», ecco che queste soggettività, lentamente e inesorabilmente, hanno perso di significato, di portata rivoluzionaria e politica. Sgusciate dai loro territori e spazi d’origine, e trapiantate in una flood di significati, sensi e significanti ininterrotti per 18 anni.
Siamo quindi passati da Public Enemy, N.W. A. a Puff Daddy e Snoop Dog, da Ozzy Osbourne a Marilyn Manson, da James Brown a Jamiroquai, dai Rolling Stones a Lenny Kravitz. In un avvitamento sempre più friendly, estetico, riconoscibile e addomesticabile. Cool, appunto.
Eppure MTV ha retto anche a questo, anticipando le tendenze di oggi, non solo l’invasività dell’immagine, dello storytelling, dell’H24 non stop, del binge watching.

E anche se MTV chiuderà a breve, il suo modello, la sua aura non è ancora finita. Certo, il modello di una broadcast centralizzato, top-down è stato ormai spazzato via dai social, dalle piattaforme, dagli algoritmi che riescono a elaborare le informazioni e a potenziare, rafforzare le tendenze. Il segnale non da un unico punto ma da una massa di milioni di punti in rete.
Eppure TikTok, YouTube, Instagram hanno continuato a far girare sempre più velocemente i pistoni di quella “macchina di coolness”, di desiderio immateriale, di essere e apparire, anche se con mezzi più potenti ma anche più frammentati e impersonali. E con il processo produttivo immaginato da marxisti e post-marxisti ormai al suo punto d’arrivo: il soggetto produttore/consumatore, protagonista e fruitore al tempo stesso.
Insomma quella lunga marcia iniziata ormai 45 anni fa è a un punto di svolta. Qualcuno ricorderà certamente il video Praise you dei Fatboy Slim. Un gruppo di persone comuni che tentava, in modo maldestro ma spettacolare, di mettere in scena una coreografia davanti alla prima di un cinema. Un gruppo sgangherato in un video apparentemente improvvisato ma che mostrava il potenziale infinito del codice sorgente di MTV e di quello che poi saranno i social. Il protagonista sei tu.














