-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
Autunno d’arte a New York: cinque mostre da non perdere a SoHo
Arte contemporanea
Continua il nostro itinerario a SoHo, a partire dal risveglio, ancora all’hotel d’arte ModernHaus (di cui abbiamo scritto qui). Nella stanza 907 ci si alza al cospetto di una stampa di Alexander Calder. Ci concentriamo ora su Walker Street, una delle strade che presenta tante gallerie al piano terra.

Spoiled by Freud di Sofia Silva, da Andrew Kreps Gallery
Il nostro giro inizia da Kreps con la mostra di un’artista italiana nostra concittadina, la padovana Sofia Silva, nata nel 1990. Di natura autobiografica, Viziata da Freud, la serie di dipinti di Silva riflette il suo legame con la psicoanalisi.
Figlia di due psicoanalisti, l’artista è immersa in questa pratica fin dall’infanzia e l’ha trasformata in una lente interpretativa costante del mondo. Tale prospettiva si traduce in un approccio analitico alla pittura, dove le immagini vengono scomposte e ricomposte. Dettagli figurativi emergono in paesaggi astratti, mentre frammenti e collage, spesso tratti da opere precedenti, punteggiano la superficie dei dipinti.
Queste opere, dominate da spazi negativi, si offrono inizialmente come frammentarie ma, insieme, costruiscono un racconto intimo che attraversa due fasi del suo percorso psicoanalitico. Fino all’8 novembre.

Judy Pfaff, Light Years alla Cristin Tierney Gallery
Da oltre 50 anni, Judy Pfaff ridefinisce i confini tra scultura e installazione, fondendo pittura, assemblaggio e architettura in ambienti immersivi. “Maestra del recupero”, trasforma materiali trovati e industriali – acciaio, resina, neon, plastica, tessuto, vetro, fiori artificiali – in costellazioni di forma e colore. La sua pratica unisce rigore formale e improvvisazione intuitiva, spesso descritta come “pittura nello spazio”. Lirica e caotica, densa ma leggera, la sua opera riflette una costante sperimentazione, con il neon come uno dei suoi mezzi prediletti.
Light Years presenta lavori recenti che esplorano luce e materia e combinano vetro, resina, acciaio, LED e materiali riciclati per creare paesaggi sospesi tra natura e artificio, fragilità e energia. Al centro della mostra, una serie di grandi pannelli in resina e acrilico trasformano il gesto pittorico in strati luminosi di colore, evocando vetrate, pixel e astrazioni vibranti. Judy Pfaff, nata a Londra nel 1946, vive e lavora a Tivoli, New York. La mostra è visitabile fino al 20 dicembre.

Portrait di Teresa Margolles da James Cohan Gallery
Portrait è un’installazione fotografica che restituisce la presenza di persone appartenenti alla comunità trans+ in Messico e nel Regno Unito. Composta da 735 fotografie, la serie nasce dal gesto di preservare e onorare l’individualità di ogni partecipante. Margolles ha realizzato calchi in gesso dei volti, impronte che catturano ogni dettaglio di trucco, barba e pelle, per poi fotografarli in scala reale, rendendo omaggio a identità spesso minacciate.
Realizzata coi partecipanti del progetto pubblico Mil Veces un Instante (Trafalgar Square, Londra), Portrait adotta una struttura a griglia che richiama l’ordine architettonico, ma ogni volto rompe la ripetizione, creando un ritmo visivo tra anonimato e singolarità. L’opera è dedicata a Karla, cantante e amica dell’artista, assassinata a Ciudad Juárez nel 2015.
Accanto all’installazione principale, una serie di Polaroid documenta lo scambio tra artista e partecipanti: ritratti unici, alterati con interventi manuali, che conservano la presenza e lo spirito di ciascuno.
All’entrata della galleria l’opera 28 Cuerpos (2015–2025) presenta fili utilizzati per ricucire corpi dopo le autopsie, tesi tra due pareti come segni di memoria e lutto. Ogni filo ricorda una vita perduta e invita a riflettere sulla fragilità e la dignità di chi vive ai margini.
La mostra è visitabile alla James Cohan Gallery fino all’1 novembre.

Dana Cepleanu, Now da Kaufmann Repetto Gallery
La galleria newyorkese Kaufmann Repetto, che è presente anche a Milano, in Porta Tenaglia 7, presenta il lavoro di Diana Cepleanu. Libera dalle restrizioni della formazione accademica nella Romania sovietica degli anni Ottanta, Cepleanu ha dedicato la propria pratica alla vita quotidiana, dipingendo figli, spazi domestici e frammenti di natura. In queste opere, l’ordinario diventa spirituale.
Come gli artisti del Rinascimento che attribuivano ai semplici oggetti un significato metafisico, Cepleanu trasforma la vita intima di Bucarest in un racconto silenzioso e universale. Riflettendo sul titolo della mostra, l’artista descrive il «Luogo cui anche la distanza non è più estranea»: una condizione di appartenenza che unisce ciò che è vicino e lontano. Nei ritratti e nelle nature morte, questo sguardo meditativo si manifesta nella semplicità del gesto, nella luce trattenuta e nella precisione della pennellata.
Dalle opere giovanili, eseguite senza correzioni né stratificazioni, fino ai recenti Autoritratto e Giardino con margherite (2023), in cui l’artista scava e rimuove il colore, emerge una tensione tra cancellazione e rinascita. L’atto pittorico diventa un processo di scavo e riflessione sulla materia, sulla memoria e sul tempo.

Marie Watt, Tredici lune da Marc Straus
Marie Watt ha origini europee e native americane, fa parte del Turtle Clan della Nazione Seneca, con ascendenze tedesche e scozzesi. L’artista esplora la propria eredità Haudenosaunee (un’alleanza di sei nazioni indigene del Nord America, che hanno la loro terra d’origine nello stato di New York, negli Stati Uniti e in alcune parti del Canada), rendendo omaggio al loro sistema tradizionale di misurazione del tempo.
L’opera centrale della mostra, visitabile fino al 20 dicembre da Marc Straus, è un grande neon che riporta in cerchi concentrici i nomi delle tredici lune Haudenosaunee, ognuna legata a un momento essenziale dell’anno, come la “Luna dell’Acero Zuccherino” di marzo. Coperto parzialmente di bianco, il neon riflette la luce sul muro, richiamando il modo in cui la luna è illuminata dal sole.
La mostra include anche 13 ricami e tredici acquerelli. Nella visione euroamericana il numero 13 è considerato sfortunato ma per gli Haudenosaunee è sacro: rappresenta i mesi dell’anno e le placche del carapace della tartaruga, simbolo della creazione del continente.
Due grandi opere tessili riflettono la luce e le forme mutevoli della luna, mentre sculture realizzate con sonagli di latta evocano la danza curativa Jingle Dance, nata nella comunità Ojibwe durante la pandemia del 1918 e ancora praticata oggi ai pow wow intertribali.















