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Anniversari, piani strategici e nuovi maxi-musei. Cosa sta accadendo nel sistema culturale del Qatar
Musei
C’è un “prima”, c’è un “ora” e c’è un “dopo” nella storia culturale di Doha. Lo ha spiegato bene in una recente intervista la Sheikha Al-Mayassa bint Hamad bin Khalifa Al-Thani, capo di Stato delegata alla Cultura, illustrando un ambizioso piano di cui i recenti anniversari costituiscono una tappa intermedia, in attesa di un orizzonte più ampio: «Abbiamo suddiviso la nostra strategia ventennale in tre parti. La prima parte, che per noi era la più importante, è la voce di un’identità locale autentica. Così abbiamo aperto il Museo d’Arte Islamica, il Mathaf: Museo Arabo d’Arte Moderna e il Museo Nazionale del Qatar. Queste tre istituzioni rappresentano chi siamo, chi eravamo e dove vogliamo andare. La seconda fase, che stiamo quasi completando, ha riguardato lo sviluppo sociale e il modo di incoraggiare le persone a utilizzare le istituzioni artistiche e culturali come centri di conoscenza e non come mero intrattenimento. Abbiamo aperto il Museo Olimpico e dello Sport del Qatar in tempo per i mondiali di calcio FIFA, nel 2022, e ora stiamo lavorando al Dadu’s Children Museum». Didattica, coinvolgimento attivo del pubblico, costruzione di identità. Sono i pilastri attraverso cui si muove la strategia culturale del Qatar, che mette in agenda ambiziose inaugurazioni previste nei prossimi anni.

«Il capitolo finale riguarda progetti di sensibilizzazione internazionali e globali. Innanzitutto, con il Museo di Lusail» afferma la Sheikha Al-Mayassa, riferendosi all’imponente museo che sorgerà sull’isola di Al Maha a Lusail con un progetto architettonico firmato da Herzog & de Meuron, accogliendo nei suoi spazi pittura orientalista, fotografia, cinema, moda e arti decorative. E conclude, «Riguarda l’idea di cosa significhi esistere in un mondo postcoloniale e la crisi di identità che ne consegue. Come possiamo affrontare i conflitti usando l’arte e la cultura come strumento per curare e unire le persone?».

Il Qatar e la visione del futuro
Scoprire il Qatar per la prima volta è un’esperienza di continue sorprese e contraddizioni, che invita a sospendere lo sguardo europeo per cogliere la complessità autentica di un percorso in continuo divenire. La misura fuori scala degli edifici, il lungomare (detto “corniche”) costruito come punto panoramico continuo, le strade deserte di giorno per l’eccessivo caldo, la luce abbacinante che investe ogni anfratto, le isole artificiali e il colorato skyline dei grattacieli che accende la notte qatarina. Insomma, un’oasi nel deserto. Come molti Stati del Golfo, la giovane età urbana costituisce una pagina bianca, o ancora in gran parte da scrivere. Doha, che all’inizio del Novecento era un villaggio di pescatori e commercianti di perle, ha conosciuto lo sviluppo a partire dagli anni Settanta, quando la scoperta del gas naturale e la sua conseguente esportazione furono percepite come un motore di crescita dal potenziale sostanzialmente illimitato. Di lì, l’esplosione espansiva, che ha portato in pochi decenni a decuplicarne non solo l’ampiezza ma anche la capacità di attrazione, ridefinendo l’immagine e il ruolo del Pese sul piano internazionale.

Non è quindi un caso la costanza con cui in Qatar ricorre l’uso della parola “futuro”, accompagnata da un entusiasmo collettivo e da una voglia progettuale che per certi versi ricorda gli Stati Uniti del boom economico nel secolo scorso, quando una spinta migratoria dall’Europa e un crocevia multiculturale di intellighenzia fecero della cultura un motore trainante di sviluppo. Si guarda al passato recente dell’Occidente, osservandone i modelli e riformulandoli attraverso valori e prospettive in grado di diventare parte integrante di una narrazione chiara e riconoscibile guidata da una strategia chiara.
Archistar internazionali a Doha
Lo si percepisce nell’architettura dei suoi musei, che costellano la città con le firme dei più rinomati progettisti contemporanei. A partire dal National Museum of Qatar, opera del Pritzker Prize Jean Nouvel: analogamente al Louvre di Abu Dhabi, ispirato alla forma delle case basse e bianche tipiche del mondo arabo e mediterraneo, a Doha l’architetto lavora evocando un simbolo assoluto, la rosa del deserto. Il risultato è un complesso quasi labirintico che si compone di grandi dischi intrecciati di diversi diametri e curvature, circondando quello che fu il palazzo storico – ora restaurato – del defunto sceicco Abdullah bin Jassim Al Thani, sovrano del Qatar dal 1913 al 1949. «Per mezzo secolo, il Museo Nazionale del Qatar ha custodito l’eredità della nostra nazione e i nostri tesori nazionali, continuando al contempo a sviluppare nuovi modi di raccontare storie attraverso i più recenti progressi tecnologici», ha affermato il direttore Sheikh Abdulaziz Al Thani, celebrando il traguardo dei 50 anni del museo. «Con A Nation’s Legacy, A People’s Memory: Fifty Years Told, invitiamo il pubblico a unirsi a noi per celebrare l’eccezionale percorso dell’istituzione, che onora il nostro patrimonio immaginando al tempo stesso ciò che verrà». La mostra, in corso fino al 7 febbraio 2026, racconta l’evoluzione culturale e sociale dell’intera area attraverso documenti, fotografie, manufatti, gioielli, vestiti e un allestimento interattivo e in gran parte digitale, soffermandosi sui passaggi cruciali dell’espansione urbana, dal secondo Novecento fino ad oggi.

Sull’identità qatarina e sulle nuove traiettorie della ricerca creativa si sofferma anche l’M7, polo per le startup creative del Qatar dedicato a moda, design e tecnologia che si estende per un’ampiezza di quasi 30 mila metri quadrati nel cuore di Msheireb Downtown di Doha. Qui le mostre FTA: Threads of Impact Celebrating 7 Years of Fashion Trust Arabia, Amazigh Hair Couture e Houbara Haven: a Chaumet Tiara mettono in risalto le ultime tendenze nella moda, nel costume e nell’artigianato, con innesti di arte contemporanea che rappresentano un ponte trasversale tra le arti.
Studio AMO/OMA: il futuro delle città è in campagna
Tornando ai grandi nomi dell’architettura, presente nell’area è anche Rem Koolhas, già autore dell’incredibile Qatar National Library di Doha che, racchiusa in un luminoso edificio ispirato alla forma del diamante e situata nella cosiddetta Education City, coniuga nei suoi 45.000 metri quadrati la vasta biblioteca, una caffetteria, uno spazio per mostre temporanee e l’archivio visitabile con al suo interno un ricco patrimonio di testi antichi. In occasione dei 20 anni del Qatar Museums però, l’architetto olandese torna nella capitale assieme al curatore and Samir Bantal dello studio AMO/OMA per inaugurare la mostra Countryside: A Place to Live, Not to Leave. Presentata per la prima volta nel 2020 al Guggenheim Museum di New York, più che di una consueta esposizione si tratta di una lunga ricerca che ha coinvolto oltre 100 interlocutori internazionali, e che si svolge tra le numerose aule della Qatar Preparatory School attraverso una restituzione visiva che include grafici, manufatti, filmati. Perno della ricerca, in particolare, è l’elemento dell’“arco”, un parametro disegnato dai ricercatori per definire un’ampia fascia che attraversa l’Africa, il Medio Oriente e l’Asia Centrale, ponendo l’attenzione sulle aree rurali lungo un corridoio senza sbocco sul mare, storicamente connesso dalla Via della Seta e in gran parte privo di grandi città. Alla base sta una domanda provocatoria, o meglio una sfida rivolta all’avvenire: e se il futuro dell’abitare fosse nelle campagne?

Con uno sguardo tutt’altro che eurocentrico, la mostra riesce nell’intento di analizzare aree geopolitiche sottorappresentate esplorandole da innumerevoli punti di vista, ribaltando i luoghi comuni sui Paesi in via di sviluppo e concentrando l’attenzione su una ricchezza umana, geografica e idrogeologica capace di aprire nuove prospettive. Un percorso fortemente significativo non solo per un Paese che ha voluto affermarsi negli ultimi anni come mediatore diplomatico e ponte tra Oriente e Occidente, ma perché anticipa la conclusione del progetto della Qatar Preparatory School, che sarà la prima scuola professionale del Paese dedicata alle industrie creative: un luogo di sperimentazione teorica e pratica, come dimostrano la serra posta nel cortile della scuola e le numerose colture di ortaggi (che crescono nella sabbia) disseminate attorno all’edificio.
Il Museo di Arte Islamica e la legacy qatariota
Insomma, il ricco programma del ventennale di Qatar Museums comprende un’offerta articolata che si fa strada tra arte antica, arte contemporanea, arte pubblica, design, moda, mercato, innovazione. Ma, nella ricognizione, ancora una volta sembrano essere gli architetti il filo conduttore di questa macchina culturale in avanzamento. Se Koolhas veste in quest’ultima occasione i panni di curatore, il sino-statunitense Ieoh Ming Pei è protagonista della mostra monografica I. M. Pei: Life Is Architecture, realizzata in collaborazione con l’M+ di Hong Kong, in corso fino al 14 febbraio 2026 al centro espositivo ALRIWAQ di Doha.

Attraverso più di 400 opere, tra cui disegni originali, modelli architettonici, fotografie, film e documenti d’archivio, la mostra traccia con chiarezza il profilo di un geniale autore del tempo presente e del suo approccio che lega indissolubilmente il progetto con la vita quotidiana che si avvicenda al suo interno. Non mancano le curiosità storiche: dallo scandalo pubblico che suscitò negli anni Ottanta l’ampliamento del Louvre – ma, soprattutto, la sua piramide trasparente – testimoniato dalle riproduzioni delle copertine dei giornali dell’epoca, al making of del Museo di Arte Islamica di Doha. Fondato nel 2008 e diretto da Shaikha Nasser Al-Nassr, l’importanza di quest’ultimo è legata al fatto di essere stato uno dei primi progetti avviati da Qatar Museums. Solido e monumentale, il museo racchiude nelle sue collezioni circa 1.300 anni di storia, rappresentando l’intero arco dell’arte islamica dal VII al XXI secolo tra manoscritti, ceramiche, oggetti in metallo, vetro, avorio, tessuti, tappeti, legno e gioielli. L’identità del suo patrimonio, ma anche il valore pressoché sacrale che rappresenta, ha ispirato Pei a concepire l’edificio come una moschea, riprendendone gli elementi tradizionali, a partire dalla struttura esterna, ispirata alla Sabil, la fontana delle abluzioni presente nella moschea di Ahmad Ibn Tulun a Il Cairo, risalente al IX secolo. Una facciata minimale in pietra bianca che racchiude al suo interno uno spazio monumentale di cinque piani, caratterizzato da una corte centrale e un grande lampadario circolare a sospensione tipico della cultura islamica.

Art Basel Qatar, artisti emergenti e il network delle nuove prospettive
Dall’antico al contemporaneo: il nostro viaggio si conclude con la visita alla Fire Station: Artist in Residence, centro di residenze a sostegno di artisti e curatori costruita nel 1982 e fino alla fine del 2012 sede della della prima autorità di protezione civile del Qatar e caserma dei vigili del fuoco. Due anni dopo, la sua destinazione d’uso cambia indirizzandosi verso l’arte contemporanea e l’architetto qatariota Ibrahim Al-Jaida viene incaricato del rifacimento. Oggi la struttura è inserita in un complesso che si affaccia su una piazza centrale e mantiene i dettagli originali dell’edificio, come la facciata a nido d’ape e la torre, testimonianza di un pezzo dell’architettura moderna di Doha. Fino al 31 dicembre 2025, la mostra Portals in Flux offre una ricognizione sul lavoro di 15 artisti di base in Qatar che hanno lavorato negli spazi della Fire Station per nove mesi, declinando il proprio lavoro sui temi della porta, della soglia, del confine e dell’accoglienza.

Perseguendo la sua strada di laboratorio creativo, questo luogo rappresenta una risorsa preziosa per un Paese alla ricerca di nuovi linguaggi, anche sul piano delle arti contemporanee. Un intento che subirà un’ulteriore spinta grazie alla nomina di Wael Shawky (regista, curatore e artista che ha rappresentato l’Egitto alla Biennale di Venezia 2024) come direttore artistico. Lo stesso Shawky sarà direttore di Art Basel Qatar, il colosso fieristico che arriverà a Doha dal 5 al 7 febbraio 2026, scardinando i parametri consueti e dando il via a una manifestazione diffusa in più sedi della città, priva dei tradizionali stand (ce lo raccontava il Vincenzo De Bellis, Global Director di Art Basel, in questa intervista). Un’occasione di rete per coltivare nuovi rapporti culturali e commerciali al di fuori dei confini nazionali, che sempre più nel futuro prossimo andranno a nutrire un piano strategico di cui la prima (e non solo) pietra è posata.















