-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
Ci sono artisti che lavorano con il video, e poi c’è Daniele Puppi. La distinzione può sembrare sottile, ma visitando Eh, lampu!, la personale ospitata fino al 6 dicembre all’Accademia Nazionale di San Luca, a Roma, e curata da Marco Tirelli, diventa immediatamente evidente: Puppi non utilizza il video come supporto narrativo o installativo ma come detonatore percettivo. Il video, nella sua pratica, è un campo di tensione che invade il corpo, attraversa l’architettura, mette in crisi la percezione lineare del tempo e dello spazio. È un lampo, come suggerisce il titolo della mostra, uno shock improvviso che abbaglia e riorienta, costringendo lo spettatore a ridefinire il proprio equilibrio.
Questa dimensione energetica e destabilizzante è la cifra costante di un percorso artistico che dagli anni Duemila a oggi ha trasformato Puppi in una delle figure più radicali della scena italiana. La sua pratica si fonda su un “work in regress” che ribalta il processo creativo tradizionale: le opere non precedono lo spazio, ma emergono da esso. L’artista abita gli ambienti, ne ascolta le tensioni, li misura come fossero muscoli, articolazioni, membrane sensibili. È una relazione carnale con l’architettura, ben lontana dalla neutralità museale: subwoofer, proiettori, sincronizzatori e amplificatori diventano organi di un corpo espositivo che vibra, pulsa, si espande.




In questa prospettiva si inserisce anche la sua partecipazione a rassegne importanti, tra cui Digital Life al MAXXI di Roma, che gli ha permesso di dialogare con l’architettura contemporanea reinterpretando spazi complessi come quelli progettati da Zaha Hadid attraverso il flusso dell’immagine e le vibrazioni del suono. Quei lavori, immersi nelle curve e nelle tensioni dell’edificio, hanno confermato quanto il rapporto di Puppi con i luoghi non sia mai decorativo, ma trasformativo.
All’Accademia, questo metodo prende forma in quattro installazioni che attraversano Palazzo Carpegna come scariche elettriche. L’espressione logudorese “eh, lampu!”, che dà il titolo alla personale, sintetizza perfettamente l’effetto di abbaglio improvviso che caratterizza l’intero percorso. Coyote Venus, nella prima sala, introduce subito uno stato di sospensione inquieta: una figura femminile nuda, immobile su rocce, sembra vivere in un territorio liminale tra calma e tensione. Il minimo movimento dei capelli altera la scena, trasformando la fissità in un campo di forze. L’immagine non racconta: minaccia di accadere. È un preludio silenzioso, denso.



La sala successiva esplode in energia. Downtown Tunes immerge lo spettatore nel pulsare di Los Angeles, in un loop urbano in cui luci, suoni, elicotteri e ombre si susseguono come un respiro congestionato. La città non è un panorama, ma una vibrazione totale che investe lo spazio. La proiezione si dilata e si contrae, mentre l’audio, amplificato fino a diventare materia, invade il corpo dello spettatore. È uno dei lavori che più mostrano la dimensione cinematografica di Puppi, capace di trasformare il ritmo stesso in scultura.



Con Il Lancio del Sasso, la tensione torna a concentrarsi in un gesto elementare. L’artista scaglia pietre verso un orizzonte irraggiungibile, trasformando un’azione primordiale in metafora dell’aspirazione umana. La pietra non raggiunge mai la meta, il fallimento diventa motore poetico. In questa ripetizione senza catarsi, Puppi sfiora la meditazione sull’infinito, costruendo un luogo in cui il tempo si dilata e la fisicità dell’azione si fa riflessione.
Il percorso si conclude sotto il portico borrominiano con The Chain, rielaborazione spietata di un cartoon di Tom & Jerry. L’opera smonta la leggerezza slapstick trasformandola in un ciclo ossessivo di aggressione. Il gesto comico, privato della sua ironia, diventa una condanna reiterata che parla della natura umana più che dei personaggi animati. L’architettura del portico diventa così teatro di un’ansia ritmica inesorabile, visibile anche dall’esterno come un bagliore intermittente.



A rendere la mostra ancora più significativa è la presenza del catalogo bilingue edito da Electa, con testi di Claudio Strinati, Marco Tirelli, Peter Benson Miller, Bruno Di Marino, Huang Du, Maria Silvia Farci e Astrid Narguet. Non un semplice supporto ma un dispositivo critico che amplia la riflessione sulla pratica di Puppi, confermandone la collocazione in un panorama artistico che richiede sempre più spesso una combinazione di rigore concettuale e intensità sensoriale.
Se Eh, lampu! risulta un momento centrale nel percorso dell’artista, è perché amplifica i nuclei portanti della sua ricerca: la centralità dello spazio come organismo vivo, il suono come forza scultorea, la ripetizione come forma di perturbazione percettiva, il limite come orizzonte estetico. Le sue installazioni non sono immersive nel senso spettacolare del termine, ma fisiche, vibrazionali, capaci di attraversare lo spettatore come un’onda d’urto.
A oltre trent’anni dagli esordi, Daniele Puppi rimane una delle voci più coerenti e radicali dell’arte italiana contemporanea. Eh, lampu! non è una semplice esposizione: è un’esperienza che chiede al pubblico di confrontarsi con il proprio corpo, con la propria percezione, con il proprio limite. E dimostra, con forza inequivocabile, che basta un lampo — se abbastanza intenso — per riscrivere lo spazio.














