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Sono pochi gli esempi in cui la ricerca artistica e la comunicazione riescono davvero a sovrapporsi, procedendo con la stessa forza, la stessa urgenza, la stessa integrità di linguaggio. Quando accade, si tratta di una trasformazione profonda, un punto in cui l’immagine diventa veicolo diffuso di pensiero. È a questi rari incastri che si sviluppa una rivoluzione silenziosa, capace di ridefinire gli strumenti del vedere e del raccontare. Una rivoluzione che, nel panorama italiano del Novecento, porta un nome: Armando Testa. Al mitico pubblicitario e artista, disegnatore e animatore, nato a Torino nel 1917 e scomparso nel 1992, è dedicata Armando Testa. Cucù-Tetè un’ampia retrospettiva visitabile fino al 3 maggio 2026 al Palazzo delle Papesse di Siena.
Curata da Valentino Catricalà e Gemma De Angelis Testa, prodotta da Opera Laboratori in collaborazione con Galleria Continua e Testa per Testa, la mostra riunisce circa 200 opere tra manifesti, dipinti, installazioni, sculture, disegni, fotografie e materiali audiovisivi. Un attraversamento integrale del lavoro di Testa, per seguire la linea espressiva di uno dei protagonisti assoluti dell’immaginario visivo.

Il titolo, Cucù-Tetè, allude a quella capacità di Testa di sorprendere, di introdurre un elemento spiazzante nel cuore di immagini che sembrano immediate, ma che custodiscono sempre un cortocircuito, una torsione concettuale. «Guardi un lavoro di Armando Testa e credi di averlo compreso, ma subito ti accorgi che c’è dell’altro: una piega inattesa, un senso che si ribalta. È la cifra della sua opera: una rivelazione che diventa meraviglia», spiega Gemma De Angelis Testa.
«Scrivere su Armando Testa non è impresa facile. Quale altro personaggio fondamentale della cultura italiana può essere paragonato a lui? Cos’è Testa? Siamo sicuri che sia solamente un grande e geniale pubblicitario? Ecco, questo testo e questa mostra vogliono scardinare proprio tale impostazione…», così Catricalà introduce la mostra.

La retrospettiva intreccia invenzioni grafiche, intuizioni pubblicitarie, sperimentazioni audiovisive e opere d’arte autonome. Fin dall’ingresso, il primo piano offre una “comfort zone visiva” che riunisce alcune immagini iconiche: il manifesto Punt e Mes (1960) nelle sue varianti pittoriche, Il brindisi dei due re (1949), le campagne per Borsalino, i manifesti fluorescenti del Gotto (1952) e quelli realizzati per le Olimpiadi di Roma del 1960. È il Testa più noto, quello che ha segnato un’epoca, e che secondo le parole di Gillo Dorfles va considerato un «Visualizzatore globale».
Dalle icone ai processi, la sezione successiva apre lo sguardo sui rapporti tra arte, industria e tecnologia, con materiali rari che rivelano la qualità sperimentale del lavoro di Testa. Manifesti, bozzetti e segni preparatori – da Profilo Italia (1990) a Grafica 3 (1976), da Esso Hydroforming (1955) a Il mondo delle torri (1990) – raccontano un’Italia in trasformazione, delineata da un autore capace di tradurre in un’unica immagine lo spirito del tempo. A chiusura, spicca la copertina realizzata nel 1991 per il gruppo PIL, a partire da un suo progetto del 1974, un cortocircuito perfetto tra cultura pop, grafica e arti visive.

Un ruolo centrale è attribuito alla pittura, primo linguaggio di Testa e luogo di assoluta libertà: tele che dialogano con l’Astrattismo americano, forme primarie, tracce naturalistiche e una dimensione meditativa che si discosta dalla pressione della committenza pubblicitaria. In mostra compaiono anche manifesti inediti, che arricchiscono ulteriormente il ritratto dell’artista.
Se il primo piano racconta l’invenzione visuale, il secondo dà spazio ai mondi narrativi creati da Testa negli anni del boom televisivo: Caballero e Carmencita, accompagnati da materiali originali su tubo catodico, e poi l’universo del Pianeta Papalla, ricostruito in scala per restituire l’esperienza immersiva di uno dei progetti più visionari dell’autore. Non manca La carica degli elefanti (1954) per Pirelli, un lavoro che, come ricordava Germano Celant, condensava in un’unica immagine potenza, dinamismo e magnetismo.

Tra le installazioni, la nicchia al secondo piano interamente rivestita da oltre 400 disegni: un archivio vivente del pensiero di Testa, una costellazione di forme che rivela la continuità del processo creativo. E nel caveau del palazzo, la Lampadina Limone (1968) risplende isolata in un ambiente totalmente buio: metafora dell’incandescenza improvvisa dell’idea.
La retrospettiva si chiude con Povero ma moderno (2009), il documentario di Pappi Corsicato, premiato alla 66ma Mostra del Cinema di Venezia. A corredo, un volume edito da Sillabe raccoglie saggi di studiosi che hanno analizzato il lavoro di Testa, da Dorfles a Celant, da Jeffrey Deitch a Vincenzo De Bellis, insieme a contributi di artisti come Michelangelo Pistoletto, Paola Pivi, Grazia Toderi e Haim Steinbach.












