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La fotografia di Giovanni Matarazzo sfugge alle definizioni: la mostra ad Ancona
Fotografia
di redazione
Apre oggi alla THEIA Gallery di Ancona Lo sguardo irrequieto, la mostra che ripercorre 40 anni di ricerca fotografica di Giovanni Matarazzo, dal 1984 al 2024. Un arco temporale ampio, restituito attraverso 53 fotografie in bianco e nero e a colori, che si lascia leggere come un attraversamento continuo di territori, linguaggi e tensioni, sulle tracce di un’inquietudine consapevole e mai pacificata.

Forma espressiva sfuggente e plurale per eccellenza, la fotografia diventa per Matarazzo uno spazio di interrogazione permanente. Dal paesaggio al ritratto, dalla street photography alla natura morta, dal reportage alla visione, dalla serialità alla giustapposizione, dal locale al globale, il suo lavoro si muove per slittamenti e sconfinamenti, evitando sistematicamente ogni specializzazione. Si tratta di una precisa postura etica e intellettuale: il rifiuto di stabilirsi in un genere, di abitare una forma riconoscibile, sembra rispondere a quella “horreur du domicile” di cui parlava Baudelaire, qui tradotta in pratica visiva.

Il percorso espositivo si apre simbolicamente con un portale immaginario, illuminato da molteplici lune, che introduce a The Dark Side: una zona d’ombra necessaria, senza la quale non esisterebbe né la possibilità di “scrivere con la luce” né la complessità stessa della psiche umana. La fotografia, in questa prospettiva, è esplorazione di ciò che sfugge, affiora, resiste alla piena visibilità.

La mostra procede per nuclei e accostamenti, senza una progressione lineare, trovando un approdo volutamente non conclusivo in uno straniamento visivo potente: il confronto diretto tra un’architettura postmoderna e il quattrocentesco Compianto di Niccolò dell’Arca, conservato nella chiesa di Santa Maria della Vita a Bologna. Un vis-à-vis che mette in crisi le gerarchie temporali e iconografiche, e che ribadisce come lo sguardo di Matarazzo sia sempre proiettato verso nuove “terre incognite”. Viene spontaneo il rimando all’Anatomia dell’irrequietezza di Bruce Chatwin ma qui la restlessness non passa attraverso il corpo in viaggio, bensì attraverso l’obiettivo fotografico, continuamente in cerca di altre Patagonie.

Dopo una lunga attività come fotografo professionista specializzato nella documentazione della cultura, dall’arte all’architettura, dalla scultura all’archeologia, Matarazzo ha progressivamente messo in discussione il proprio rapporto con il medium, anche in seguito all’avvento del digitale e al dilagare di pratiche improvvisate. Un momento di svolta è stato il confronto con il sistema dell’arte internazionale, a partire dall’esperienza di Art Taipei nel 2015, che lo ha portato a una presa di distanza netta dalle logiche commerciali e di marketing. Da allora, la sua ricerca si è concentrata su lavori monografici volutamente estranei a quelle dinamiche, privilegiando le valenze etiche e sociali della fotografia.

Negli ultimi anni ha esposto in contesti come il Museo Arturo Ghergo e il Centro Studi Biblici di Montefano, l’Oratorio di San Giovanni Battista a Urbino, Palazzo Bisaccioni e il Palazzo dei Convegni a Jesi, consolidando un percorso coerente nella sua irregolarità.














