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La vita quotidiana della Serenissima negli “scatti pittorici” di Gabriel Bella
Mostre
di redazione
Pensare a Venezia come a una città cristallizzata nel tempo può risultare controproducente da molti punti di vista: la città lagunare, nella sua fragilissima bellezza, è infatti tra i centri abitativi che più stanno risentendo di problemi tipicamente contemporanei, primo fra tutti l’innalzamento dei mari, insieme a un overtourism che incide drasticamente sulla qualità della vita di chi a Venezia abita e lavora. Eppure, se per un attimo ci allontaniamo da questa posizione pragmatica e osserviamo la serie di dipinti di Gabriel Bella oggi esposta nella sua interezza alla Fondazione Querini Stampalia, sembrerebbe davvero che il passare delle stagioni, a Venezia, si sia arrestato molto tempo fa.
Bella la vita a Venezia — un gioco di parole piuttosto esplicito tra il cognome dell’artista e l’aggettivo “bella” — è il titolo della mostra che racconta, attraverso l’opera di uno dei suoi osservatori più attenti, la vita quotidiana della Serenissima del Settecento. L’esposizione, sviluppata al piano superiore della Fondazione, ha luogo in contemporanea con Disapparire. Antonio Corradini e Luigi Ghirri e, con essa, compone una nuova descrizione visiva della città anfibia per eccellenza.

Iscritto alla Fraglia dei Pittori solo nel 1760 e classificato tra gli “artigiani”, Bella lavora ai margini del canone ufficiale ed è proprio da questa posizione laterale che riesce a intercettare con lucidità la macchina rituale della Serenissima. Le sue opere restituiscono una città regolata da cerimonie, feste, mercati e processioni, in cui ogni corpo sociale trova posto su una scena pubblica minuziosamente coreografata. Le “vedute” di Bella funzionano così come finestre sul Settecento veneziano, ma anche come specchi: riflettono una cultura che si guarda e si celebra, pienamente consapevole del proprio splendore.
La serie di dipinti qui presentata si compone di 69 tele — o meglio, di 69 scorci — dedicati a episodi della quotidianità veneziana. In un certo senso, più che di dipinti si potrebbe parlare di “scatti pittorici”, vista la loro precisione e nitidezza: un’anticipazione dello sviluppo della fotografia, destinata a cambiare per sempre il corso della storia dell’arte nel secolo successivo.

Nelle tele — tutte dello stesso formato — calli, campielli, canali e ponti si susseguono davanti allo sguardo dello spettatore, punteggiati da piccoli omini e donnine vestiti di colori squillanti. I panorami che si condensano su queste superfici pittoriche, seppur distanti nel tempo, sembrano essere esattamente quelli che ancora oggi guidano il visitatore tra le calli veneziane.
Ancor più interessante della singola veduta è però il dialogo che si instaura tra le varie opere: da questo confronto prende forma un vero e proprio atlante visivo della Serenissima, rappresentata al crepuscolo della sua storia politica. Un insieme che restituisce la densità sociale e rituale di una città che continuava — ostinatamente — a mettersi in scena.













