27 marzo 2019

Il giardino dopo il disastro. La fantascienza di Larissa Sansour al Padiglione danese a Venezia

 

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Questa volta, il nostro percorso di approfondimento dedicato ai progetti più interessanti che vedremo alla prossima Biennale di Venezia, in apertura l’11 maggio, ci porta nel futuro. Il Padiglione danese infatti interpreterà il tema di Ralph Rugoff, “May you live in interesting times”, conferendogli un’accezione fantascientifica. In effetti, Larissa Sansour, artista danese di origini palestinesi che, insieme alla curatrice Nat Muller, rappresenterà la Danimarca in Laguna, ha spesso lavorato su temi cari alla science fiction, come nel caso di A Space Exodus, film realizzato nel 2009, in cui si raccontava dell’immaginario viaggio sulla Luna compiuto da un palestinese.
“Heirloom” è il titolo del progetto che animerà il Padiglione ai Giardini con una proiezione a due canali, un’installazione scultorea e un intervento architettonico che accompagnerà il fruitore in un universo oscuro. Insomma, seguendo il filo degli altri progetti di cui vi abbiamo già scritto, sembra che il dialogo tra il linguaggio volatile delle immagini in movimento e la concretezza degli elementi strutturali sarà piuttosto presente, in questa 58ma edizione della kermesse.
In questo caso, Sansour presenterà una riflessione sul tema ultraterreno della memoria, tra storia e identità. Il film, intitolato In Vitro, porterà in scena la città di Betlemme, alcuni decenni dopo un disastro ecologico. In punto di morte, il fondatore di un frutteto sotterraneo parla al suo giovane successore, nato nel sottosuolo e che non ha mai visto la città che è destinata a ripiantare e ripopolare. Trauma ereditario, esilio e memoria collettiva sono gli argomenti che saranno affrontati dalla pellicola, diretta da Søren Lind, girata tra Betlemme, Londra e l’Oxfordshire, con il coinvolgimento di attori palestinesi di fama internazionale, come Hiam Abbass e Maisa Abd Elhadi.
«Nel mio recente lavoro, la ridiscussione degli elementi rivelatori di identità è un obiettivo chiave. Da un lato, puntano a erigere i pilastri di una comprensione condivisa, dall’altro tendono a epurare l’enfasi», ha spiegato l’artista, che ha già lavorato per istituzioni come le Biennali di Istanbul, Busan e Liverpool, oltre che per musei come la Tate Modern, il Centre Pompidou e il Centro Reina Sofía. «La fantascienza diventa un veicolo in cui scenari immaginari e futuri possono essere messi alla prova, in cui le narrazioni individuali e le esperienze personali si intrecciano a quelle collettive. Diventa un luogo e un tempo in cui il ricordo e l’oblio entrano in competizione, delineando un ventaglio di possibilità, di alternative al mondo, anche radicali», ha commentato Muller.
In alto: Larissa Sansour, Søren Lind, In Vitro, 2019. Courtesy l’artista. Foto di Lenka Rayn

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