04 gennaio 2019

Ligamina presenta i restauri della Natività dei Santi Apostoli. Un esempio da seguire

 

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La storia dell’arte, e più in generale della cultura, non è fatta solo di capolavori e di artisti celebri. In un momento in cui, a dire il vero, in Italia si fa fatica anche a conservare le opere più note, fortunatamente c’è chi si cura di riscoprire e valorizzare quella parte non ancora emersa del patrimonio artistico. Storie per lo più dimenticate ma che ogni tanto tornano alla luce: lo scorso 13 dicembre, presso i Musei Vaticani, è stato presentato il progetto di restauro di un’opera scultorea, una Natività databile tra terzo e quarto decennio del Trecento, conservata nel chiostro della basilica dei Santi XII Apostoli a Roma. Si tratta di un manufatto per lo più sconosciuto, nonostante da anni sia esposto al pubblico. 
A promuovere e coordinare le attività è stata Ligamina, charity statunitense impegnata nella valorizzazione del patrimonio artistico romano, come già brillantemente dimostrato con il recupero dell’affresco di Santa Maria in Monticelli attribuito ad Antonio Carracci. Nel perseguimento dei suoi obiettivi, Ligamina mette in moto una rete costituita da tutti gli agenti chiave: primi tra tutti il donatore, che viene coinvolto nella scelta dell’oggetto della valorizzazione, e il proprietario del bene che è parte attiva in ogni progetto. A completare il quadro ci sono ovviamente i restauratori, selezionati in base al possesso di determinati requisiti, e infine gli istituti di ricerca e l’università. La peculiarità è proprio il coinvolgimento di questi quattro soggetti insieme, che determinano, oltre al successo del restauro, anche la divulgazione scientifica necessaria, che rappresenta un momento di formazione per i giovani studenti che diverranno i professionisti di settore del domani. Proprio la collaborazione con le università è uno tra gli aspetti più interessanti di questo modus operandi. 
Il restauro appena concluso permette di apprezzare al meglio la Natività dei Santi Apostoli. L’immagine è ripartita su tre registri, nella parte alta i pastori che seguono la cometa, al centro la Madonna col Bambino nella mangiatoia e alla base san Giuseppe, in atteggiamento pensieroso, con le due levatrici appena rintracciate, tra cui Salomè. Lo studio è ancora in corso ma i primi risultati, legati principalmente a un’analisi stilistica, sembrano identificarla come lavoro della bottega arnolfiana, seppur attribuita da alcune fonti allo stesso maestro: Arnolfo di Cambio era infatti la personalità artistica di maggior spicco sul palcoscenico romano a cavallo tra XIII e XIV secolo, e il suo stile influenzò gli altri artisti per molti decenni a venire. 
Ci sono alcune ipotesi relativi all’utilizzo di questa lastra, molto probabilmente decorativa di un pulpito, ma ancora tutte da verificare. Molti dubbi anche sul percorso che ha condotto l’opera alla sua sede attuale: ritrovata nell’orto del convento di San Teodoro negli anni ‘60 dello scorso secolo, a ridosso dell’abside di San Giorgio al Velabro e poco dopo spostata nella basilica dei Santi Apostoli. 
In attesa che lo studio ricostruisca la vicenda storico artistica, l’operazione condotta da Ligamina è una mini rivoluzione: la preferenza viene accordata a opere d’arte semi sconosciute, quasi sempre di difficile attribuzione. Questo tipo di scelta, che non rincorre una facile pubblicità, ha il merito di contribuire a ricostruire vicende artistiche minori che tuttavia sono fondamentali ai fini di una comprensione piena delle dinamiche generali. 
Tra i vari aggettivi usati per qualificare il patrimonio artistico di Roma troviamo spesso “sterminato”, o “infinito” se si preferisce. Iperbole che chiarisce bene il concetto di ricchezza ma che tuttavia non tiene conto della reale conoscenza che la maggior parte delle persone ha dei beni culturali capitolini: come un iceberg di cui vediamo la punta ma ignoriamo la parte più grande. Dovremmo forse iniziare a immergerci un po’ più spesso. (Luca Liberatoscioli)

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