12 settembre 2016

La rivincita del brutto

 

di

Nell’ottobre dello scorso anno un gruppo di persone ha manifestato davanti al Metropolitan di New York per chiedere la rimozione di ben 49 quadri di Pierre-Auguste Renoir perché (da loro) considerati brutti. Ovviamente il museo all’epoca non ritirò nessuna delle opere in questione, ma non può dirsi che i detrattori dell’artista abbiano completamente fallito. Mettendo per la prima volta pubblicamente in discussione un maestro della pittura del calibro di Renoir, i dimostranti hanno infatti sottolineato che la storia dell’arte non è un dogma assoluto o più semplicemente che il gusto e la bellezza sono relativi. 
Negli ultimi tempi sono aumentati i siti web che raccolgono esempi d’arte grottesca, con l’intento di includere nelle pagine della storia anche quelle opere che sono state escluse perché considerate brutte, sgradevoli o mal realizzate. A perorare la causa è in prima linea il Museum of Bad Art, un’istituzione privata fondata in uno scantinato di Boston nel 1993 che ha lo scopo di raccogliere, conservare ed esporre l’arte brutta in tutte le sue forme. La sua collezione comprende ritratti raccapriccianti, paesaggi mal riusciti e nudi inquietanti. Che il brutto sia a suo modo interessante lo aveva del resto già dimostrato l’affresco di fine ottocento raffigurante Gesù Cristo restaurato qualche anno fa in una chiesa di Borja, in Spagna: l’intervento sull’opera da parte di una parrocchiana ottantenne era stato talmente maldestro da fare notizia su tutti i media internazionali. E grazie a questo ancora oggi la chiesa accoglie ogni anno migliaia di visitatori che arrivano nella città spagnola per vedere l’affresco sfigurato dal vivo.
Secondo alcuni questo nuovo interesse per la bruttezza è dovuto in parte alle innovazioni tecnologiche. Il modo di produrre e modificare immagini è molto cambiato negli ultimi decenni e i filtri di Photoshop o di Instagram hanno creato un mondo fatto di foto belle e standardizzate. Ed è per questo che l’imperfezione diventa sempre più un valore aggiunto, un particolare fondamentale per distinguersi dall’omologazione. (Giulia Testa)
Fonte: El País

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui