19 novembre 2016

“Music for Solaris”: Daníel Bjarnason e Ben Frost ci raccontano il progetto musicale ispirato alla pellicola di Tarkovskij, domani in scena a Romaeuropa

 

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“Non abbiamo bisogno di altri mondi, abbiamo bisogno di specchi” così Daníel Bjarnason e Ben Frost sottotitolano Music for Solaris, il progetto musicale ispirato alla pellicola di Tarkovskij che sarà presentato domenica 20 novembre all’interno del programma del Romaeuropa Festival. Un lavoro che accoglie nella parte video le sperimentazioni visive di Nick Robertson e Brian Eno, per cui non servono presentazioni. Ben Frost invece, è già conosciuto nella scena artistica per la sua collaborazione con Yuri Ancarani (Ravenna, 1972), per le musiche del film Piattaforma luna del 2011. Per 29 archi, 2 percussionisti, piano preparato, chitarre e laptop, Music For Solaris sarà eseguito domani nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma dall’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e abbiamo chiesto a Ben Frost di raccontarci qualcosa sul concerto e sul progetto.
Come nasce l’idea di rifare le musiche di un film che già aveva una colonna sonora?
«Semplicemente dall’insoddisfazione nei confronti della colonna sonora originale di Eduard Artemyev: una musica che guardava solo all’esterno, agli elementi tipici della fiction cinematografica, invece che esplorare la parte interiore, umana». 
Qual è il collegamento con il film e quale è stato il punto di partenza del progetto?
«Nel film di Tarkovsky il pianeta Solaris materializza le più intime e traumatiche fantasie dei protagonisti, per cui ho pensato che una via interessante fosse rispecchiare questa materializzazione in musica. In termini tecnici, ho iniziato a suonare con un software musicale che riconosce le strutture ritmiche e tonali della colonna sonora di Artemyev. Il risultato è stato una sorta di suo fac-simile fantasma dell’originale in forma digitale, senza seguire un filo narrativo. Daniel Bjarnasson poi, ha trasformato il tutto in qualcosa di molto umano, qualcosa che avrebbe potuto funzionare per gli strumenti a corda».
Dopo la parte musicale, come sono arrivate le manipolazioni filmiche di Eno e Robertson?
«Dal momento che musica si è generata in maniera indipendente rispetto al film, l’idea di proiettarne sequenze non era più interessante e anche lo schermo bianco come sfondo mi preoccupava. Così appena Eno ha visto una sessione dell’opera a Cracovia nel 2010, è venuta l’idea della parte visuale del progetto. Invece di mostrare frame del film in sequenza, abbiamo preso i singoli fotogrammi e abbiamo lavorato con essi: modificandoli, facendoli comporre l’uno con l’altro. Una frazione del film è diventata così una lunga sequenza, e l’effetto è più quello di un quadro che cambia gradualmente. La parte musicale e quella visiva hanno camminato in modo parallelo, non seguendo le sequenze narrative, ma isolando e rielaborando singoli momenti». (Eleonora Minna)

Foto di Alessandro Albertin

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