09 marzo 2017

Lo sguardo sull’Africa, senza “africanismi”. Anticipazioni de “Il cacciatore bianco”, la nuova mostra targata Frigoriferi Milanesi

 

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Dopo l’Italia negli anni ’70 e la collezione croata di Marinko Sudac, che andrà al Ludwig di Budapest, ecco che ai Frigoriferi Milanesi arriva l’Africa con “Il cacciatore bianco”.
Si apre il prossimo 30 marzo, e il direttore artistico  di FM Marco Scotini parla di una stretta contiguità con miart, voluta anche dal nuovo direttore Alessandro Rabottini, che ha voluto l’opening del centro proprio la stessa sera dell’opening della fiera.
La continuità delle attività, è invece nel segno che da un anno contraddistingue FM, ovvero la collaborazione stretta con moltissime collezioni private italiane e diverse gallerie, mente per l’occasione vi sarà anche la “partnership” con il 27esimo Festival del Cinema Africano, che si diffonderà a Milano dal prossimo 19 al 26 marzo e intitolato “Where Future beats”.
Come tutte le mostre dei Frigoriferi anche “Il cacciatore bianco” non sarà una mostra solo “d’arte”, ma di stampo ancora più scientifico e sociologico, creata da un comitato di advisor composto da Gigi Pezzoli, africanista, Grazia Quaroni, direttrice della Fondation Cartier, Simon Njami, direttore artistico di biennale di Dakar e Adama Sanneh, direttore dei programmi di Lettera27, fondazione che dal 2006 si occupa di alfabetizzazione attraverso arte e cultura, specialmente rivolta al continente africano, che ricorda: «Ero molto perplesso quando sono stato invitato a collaborare a questo progetto. Di solito quando si fanno “Mostre africane” alla maniera occidentale o si fa un buco nel centro della cartina del continente, dimenticandone il cuore, o si tenta di “spiegarci” cos’è l’Africa. Questa però non è una mostra che vuole spiegarci nulla, perché parla di noi. Questa mostra è un laboratorio dove elaborare e decostruire lo sguardo. È un passaggio, una sponda per andare più in profondità. E che ci fa chiedere perché abbiamo sempre avuto bisogno di vedere nell’Africa i negri, i primitivi, gli sciamani, e gli stregoni. Questa mostra avrà successo se le persone che cammineranno tra le opere ne usciranno un po’ trasformate».
Qualche anticipazione delle varie sezioni di questa prossima mostra? 30 artisti contemporanei, una sezione con un riferimento a quella mostra epocale e di frattura che fu “Magicienes de la Terre”, il coinvolgimento per lo “sguardo turistico” sull’Africa affidato a Pascale Marthine Tayou (in home page Kids Mascarade, 2011) e poi nomi come Seni Camara, Kader Attia, Ibrahim Mahama, Kendell Geers, El Anatsui (sopra), Ylinka Shonibare, Sammy Baloji, solo per dirne alcuni. 
Perché il cacciatore? Secondo Marco Scotini per la sua grande attualità: il nostro periodo non fa più guerre, ma caccia l’uomo. In ogni senso. L’Africa, così, diventa un confronto per noi imprescindibile in questo momento.
Affidata a Pezzoli, invece, la ricostruzione della Sala 7 del Padiglione Italia alla Biennale del 1922. L’Africa era il “Paese ospite”. Peccato che, tra i documenti di allora, non fu mai rinvenuta nemmeno un’immagine, nonostante si sappia che la stanza conteneva 33 oggetti, associati a Modigliani e a Canova, sotto la “cura” di Carlo Anti, giovane studioso alle cui spalle stava Ugo Ojetti, che dopo l’attenzione della Francia per il primitivismo aveva auspicato che anche in Italia si potesse fare qualcosa. Il 1922, secondo Pezzoli, apre una storia: «La mostra successiva dopo quella Biennale è nel 1959 a Roma, e la successiva a Venezia nel 2007. Questa la dice lunga di quanto le vicende dell’Africa siano state marginalizzate. Qualsiasi tipo di ragionamento che non sia coloniale o turistico è stato bandito. Nel ’22 invece, per un attimo, si era dimenticata l’etnografia e si era guardato alla produzione artistica».
E così, come questa sezione, tutta la mostra non sarà una costruzione filologica ma un paesaggio non facile di cultura che si potrà affiancare, cambiare, illuminare all’idea che si può avere del Continente Nero, al di là di reportage e cronache.
Mentre gli anni ’70 proseguiranno, innescati con “L’Inarchiviabile”, con Luca Maria Patella da Laura Bulian e una mostra dedicata agli scritti di Fabio Mauri, curata da Francesca Alfano Miglietti, in collaborazione con la galleria Houser & Wirth.

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