25 giugno 2017

Epifania di un LAB. Antonio Biasiucci ci racconta la sua idea di Laboratorio Irregolare

 

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Alla sua seconda edizione, LABper un laboratorio irregolare è il contributo di Antonio Biasiucci alla riflessione sull’immagine fotografica contemporanea. Una serie di incontri durante i quali i giovani fotografi Pasquale Autiero, Ciro Battiloro, Valentina De Rosa, Maurizio Esposito, Ivana Fabbricino, Vincenzo Pagliuca, Valerio Polici e Vincenzo Russo, hanno avuto modo di approfondire le proprie ricerche e affinare il senso critico, aprendosi al confronto. La mostra “Epifanie 02”, visitabile presso la chiesa di Santa Maria della Misericordia ai Vergini, a Napoli e, dal 14 giugno, alla Galleria del Cembalo di Roma, rappresenta gli esiti di questo lungo percorso. Ne abbiamo ripercorso le tappe con Biasiucci. 
Le radici del LAB risalgono ai primi anni della tua vita di fotografo a Napoli. Spesso dici di volere “resituire” quello che hai ricevuto, cosa intendi? 
«Quando mi sono spostato a Napoli per l’univeristà, sono stato letteralmente accolto da un gruppo di intellettuali – Antonio Neiwiller, Goffredo Fofi, Stefano De Matteis, Patrizio Esposito, Oreste Zevola – che hanno intravisto la maturità di linguaggio di un giovane fotografo e con i quali sono cresciuto. E c’è anche parte dello spirito che ho sperimentato in collegio: lì, senza genitori, tutto va risolto con il supporto e all’interno del gruppo e ogni successo è condiviso.» 
Come si applica alla fotografia il metodo di lavoro che deriva dai laboratori di Antonio Neiwiller sul teatro?
«Antonio affidava un testo ad un attore per raccogliere la prima azione istintiva, che veniva ripetuta per un tempo interminabile (i laboratori di Antonio duravano moltissimo) fino a diventare scarna ed essenziale, priva del livello interpretativo. A quel punto la performance non apparteneva più all’attore, ma diventava azione libera, e per questo universale. Lo stesso faccio con i ragazzi: stimolo un continuo lavorare sul soggetto, per fare in modo che “maturi”, si allontani dal fotografo e acquisisca vita autonoma. Anche per questo il LAB è irregolare: dura finché i progetti non si compiono.» 
Ne scaturiscono immagini dense e silenziose. 
«Credo sia per la ricerca di rigore, per la volontà di produrre immagini spoglie, che non impongano un pensiero né che siano divulgative; hanno la pretesa di essere libere, affinché chiunque possa trovarvi una parte di sé.» 
Quali sono le difficoltà di questo approccio? 
«I giovani hanno idee brillantissime, ma spesso sfociano o nella retorica descrittiva o in una estrema ricerca di autenticità che li strappi dall’omologazione. L’autenticità, però, è caratteristica propria dell’essere umano, non va forzata, piuttosto richiede tempi lunghi, conoscenza del soggetto e coscienza del mistero che ci spinge a ritrarlo. Lo svelarsi di quel mistero è la morte del progetto, la sua maturazione.» 
È importante distanziarsi emotivamente dal momento dello scatto? 
«Credo che l’emozione e la vita vadano vissute senza macchina fotografica, perché nell’operare una scelta estetica si razionalizza il momento. L’emozione, invece, va tesorizzata, fa parte di un bagaglio dal quale attingere per i progetti. Così la fotografia si libera dal caso, dal bressoniano momento decisivo, e si equipara alle altre arti, affrancate dall’idea di unicità dell’attimo. Per questo Epifanie: si circoscrive un mondo e lì si fa convergere tutto se stesso.» 
Epifanie 02 è l’esposizione dei lavori di fine percorso, perché scegliere di utilizzare dei libri portfolio per la mostra di Napoli? 
«Il tavolo è il luogo intorno al quale ci siamo confrontati per far crescere i progetti: lì i ragazzi hanno poggiato le loro immagini. È stato idealmente portato fuori dallo studio e condiviso. È anche un modo rispettoso per presentare il lavoro di un fotografo: si entra in una chiesa vuota, i libri sono tutti chiusi. Tutti. Aprirne uno vuol dire entrare nel mondo di un fotografo, con concentrazione. Sono intimità che si dichiarano nel momento in cui vengono sfogliate.» (Giovanna Bile)
In home: Antonio Biasiucci, fotografia di Augusto De Luca
In alto: Epifanie 02, veduta dell’allestimento alla chiesa di Santa Maria della Misericordia ai Vergini. Napoli, 2017

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