13 aprile 1999

14.II_16.V.1999 Il fratello di Masaccio Photograph C 1995 The Metropolitan Museum of Art Giovanni di Ser Giovanni detto “Lo Scheggia” Casa Masaccio, San Giovanni Valdarno

 
Si annuncia come uno dei grandi eventi culturali del nuovo anno in Italia, e farà finalmente conoscere anche al grande pubblico un artista che merita un posto di primo piano nella storia dell'arte italiana: é la mostra dedicata a Giovanni di Ser Giovanni detto "Lo Scheggia", fratello minore di Masaccio, che si terrà a San Giovanni Valdarno dal 14 febbraio al 16 maggio 1999, in occasione delle celebrazioni per i settecento anni dalla fondazione della cittadina toscana

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Una storia singolare quella dello Scheggia del quale solo recentemente, grazie agli studi clel professor Luciano Bellosi dell’Università di Siena, curatore della mostra, si é riusciti a ricostruire l’attività e a capire il valore. Un valore ben sintetizzato dall’opera forse più celebre della mostra, il desco da parto realizzato in occasione della nascita di Lorenzo il Magnifico e ora di proprietà del Metropolitan Museum di New York. L’esposizione presenta altri eccezionali lavori che testimoniano la poliedrica esperienza dello Scheggia: ci saranno tra gli altri il celebre cassone detto “Adimari” (definitivamente attribuito da Bellosi all’artista), il desco da parto con “il gioco del civettino” appena restaurato (restauro che ha rivelato un’immagine censurata e cancellata) e lo splendido Ritratto Femminile della Philadelhia Johnson Collection.
Per molto tempo, di Giovanni detto lo Scheggia si é saputo quasi esclusivamente che era fratello minore di Masaccio (era nato a San Giovanni nel 1406), che aveva una avviata bottega a Firenze e che aveva dipinto un Martirio di San Sebastiano nell’oratorio di San Lorenzo della sua città natale: un affresco frammentario firmato e datato 1457, scoperto sotto un intonaco nel 1903 e del quale è rimasta solo una parte. Fu il professor Bellosi, nel 1969, a scoprire che quell’opera si legava stilisticamente e in modo inequivocabile a un gruppo di dipinti già riuniti sotto i nomi convenzionali di “Maestro del Cassone Adimari” o “Maestro di Fucecchio”: l’autore era lo stesso. Da allora vari contributi, note e schede di catalogo hanno a più riprese cercato di gettare nuova luce sull’autore, ma senza una organica ricostruzione e precise attribuzioni: solo oggi, con la mostra e grazie alla monografia completa, curata da Luciano Bellosi e pubblicata per l’occasione, si potrà finalmente conoscere in pieno l’opera di Giovanni di Ser Giovanni.
Nei primi anni della sua attività, lo Scheggia poté seguire da vicino l’attività del geniale fratello del quale, soprattutto nei primi lavori, subì una chiara influenza testimoniata da una insistenza prospettica, una urgenza espressiva e una densità di chiaroscuro che ne fanno il capofila di quegli artisti definiti da Roberto Longhi “gli sbalorditi di Masaccio”. Dopo la prematura morte del fratello, Giovanni si specializzò nella produzione di sontuosi dipinti per arredi domestici, e la sua bottega, in cui lavorò anche il figlio Antonfrancesco, ben presto divenne una delle più rinomate della città; ottenne quindi la fiducia delle maggiori famiglie fiorentine, che si affidarono a lui per realizzare cassoni, forzieri, pannelli per spalliere (i rivestimenti lignei delle stanze), deschi da parto (tavole circolari realizzate in occasione dei battesimi), ritratti, altaroli riservati alla devozione privata. Fastosi oggetti istoriati e dipinti che, se da un lato dovevano testimoniare lo sfoggio di lusso e di ricchezza dei committenti, dall’altro cercavano e trovavano comunque una loro valenza stilistica. Dietro lo sfarzo degli ori lavorati, dei cortei e dei trionfi variopinti, si coglie infatti un interesse esplicito per la lezione dei pittori che a Firenze avevano raccolto e rilanciato con maggiore intelligenza l’eredità di Masaccio: da Filippo Lippi a Paolo Uccello, da Beato Angelico a Domenico Veneziano. Un aspetto questo da sottolineare, anche per evitare il rischio di giudicare Giovanni soltanto per l’ultima produzione della sua bottega, che nel periodo prima della morte, arrivata all’età di ottanta anni, fu forse più stanca e ripetitiva.

[exibart]

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