26 luglio 2013

Residenza con vista. Sull’arte di domani/1

 
Dodici giovani artisti, dodici studi e dodici modi di guardare al presente. Sono i protagonisti della nuova stagione di residenze alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia. Che cosa fanno, che idee hanno? Abbiamo passato una giornata con loro, facendoci raccontare progetti e aspettative, pensando ad un ipotetico “futuro” dell'arte. Che da qui sembra ancora possibile. Ecco la prima parte del reportage

di

Atelier Thomas Braida e Valerio Nicolai, Bevilacqua La Masa, 2013

C’è forse una Venezia più autentica, anche dell’arte. Oltre ai milioni di turisti che affollano tesori e scorci cittadini del luogo più metafisico del mondo, e che tutto il mondo ci invidia, qualcosa in città si muove anche per la cultura non istituzionale, per la promozione e il sostegno dei giovani. È un luogo quasi metafisico anche Palazzo Carminati, sede degli studi d’artista, dati ogni anno a diversi giovani dalla Fondazione Bevilacqua La Masa, dietro a Campo Santo Stefano. Un vero e proprio fortino della creatività, che si raggiunge dopo una scalinata ripidissima di 88 gradini, che nascondono una delle viste più belle sulla città della laguna. 
Una scalata metaforica, da dove parte il nostro incontro con il futuro dell’arte, non solo italiana, vista attraverso le prove, i work in progess, le esperienze passate e i progetti futuri dei 12 giovani “residenti”. 
A Venezia, da questa altezza, si ha una sorta di panorama complesso su quelle che sono le tensioni del contemporaneo, e sembra che i giovani artisti abbiano in qualche modo il desiderio di mantenere un “ponte” con i propri contemporanei. A volte in modalità più didascalica, talvolta con risultati decisamente più complessi, dove si scoprono matrici concettuali, o dove è forte l’impronta di correnti degli anni ’90, di waves provenienti dagli Stati Uniti, dove sembrano ricongiungersi Kelley e Oursler o Paul McCarty. Come accade ad esempio nell’ambiente occupato da Thomas Braida, classe 1982 e già molto attivo anche sul proprio territorio, e Valerio Nicolai, nato a Gorizia nel 1988, non usciti dallo IUAV come molti dei presenti, ma dall’Accademia di Belle Arti della laguna. Qui il lato performativo, il work in progress, la fotografia, la pittura sono fusi insieme in una nuova visione di Venezia, che diviene in modo sottinteso la città del gioco e dell’esperienza – e che è presentissima anche in altre esperienze che tra poco vi racconteremo – per restituire attraverso un détournement l’identità di “labirinto” creativo. 
Atelier Lorenzo Comisso, Bevilacqua La Masa, 2013

E così il Gatto e la Volpe si trovano  a tavola con un Pinocchio immerso nell’acqua di un canale, solo per fare un esempio, in un teatrino dove le maschere non sono solo quelle del carnevale, ma di una tradizione tutta italiana, che può essere smembrata e contaminata in una serie di declinazioni possibili. Lorenzo Comisso, friulano classe 1978, è invece anche musicista, e forse la presenza più “concettuale”, se proprio vogliamo etichettare per una migliore comprensione, negli studi di Bevilacqua La Masa. Con un approccio molto teatrale (non è un caso che l’artista abbia fatto parte, dal 2003 al 2006, della compagnia Cosmesi), Comisso si presenta anche in una serie di “azioni-superamenti” rispetto ai propri Maestri, Cesare Pietroiusti ed Alberto Garutti. Due video, non esposti, raccontano però benissimo, in modalità “off”, la poetica di Commisso, che si appropria del carattere degli insegnanti, in questo caso, per replicarlo in maniera bulimica, compulsiva, come se dietro la reiterazione di alcune semplici parole pronunciate “dall’artista”, figura sacra e maledetta, possa nascondersi un mantra per avvicinarsi al divino. Scoprendo carte e nervi, perché si sa cosa può succedere facendo adirare gli Dèi. Ma Comisso prende forza proprio dal carattere naturale, così come nell’indagine della pura essenza degli oggetti, dove si nasconde un’identità profonda dietro la pura funzionalità, invisibile agli occhi ma non alla mente. 
Atelier Cake Away, Bevilacqua La Masa 2013

Di impianto decisamente performativo anche le esperienze del collettivo Cake Away, che durante questa residenza sta portando avanti il progetto “Far Festa – Nuove Feste Veneziane”, dove le iniziative del collettivo vanno a collimare con le tradizionali, e numerosissime, feste della città, spesso sconosciute ai turisti, nonostante il loro svolgersi in luoghi decisamente alla portata dei “grandi eventi” che la laguna offre. Una dimensione “public” che si è avvalsa anche di un altro “pezzo” di contemporaneo per la sua realizzazione: i sei giovani curatori, che fino a gennaio occuperanno uno degli studi al Chiostro dei Santi Cosma e Damiano, alla Giudecca, hanno sperimentato la dimensione del crowdfunding. La piattaforma che hanno utilizzato è stata Indiegogo, in occasione della festa di San Pietro, che si è svolta a giugno, contemporaneamente all’opening della Biennale, a pochi passi dal Giardini, proprio nella semi-sconosciuta isola di San Pietro, in fondo a Corso Garibaldi. Per ogni step di donazione un ringraziamento diverso: dalle foto dei cortei veneziani alla t-shirt, dalle borse firmate ad una notte in albergo in occasione della festa.
Marco Gobbi, Andrea Grotto, Cristiano Menchini e Adriano Valeri, How we dwell (Make your own residency), Cà Rezzonico, 2013 Marco Gobbi, Andrea Grotto, Cristiano Menchini e Adriano Valeri, How we dwell (Make your own residency), Cà Rezzonico, 2013

Un approccio “pubblico” ma decisamente differente anche per Marco Gobbi, Andrea Grotto, Cristiano Menchini e Adriano Valeri, 26 anni di media e studi all’Accademia, che durante la notte bianca hanno allestito il loro progetto How we dwell (Make your own residency) nel cortile di Cà Rezzonico. Una riflessione sul concetto di residenza, in senso lato e in senso pratico, abitativo, che ha portato i 4 giovani a recuperare una serie di materiali “offerti” da Venezia, per costruire la loro casa temporanea, il riparo per la notte, la stanza sotto le stelle in grado di raccontare spirito di comunità, adattamento, apertura verso un luogo. Scardinando la tradizione: anziché essere artisti “ospitati” in una residenza, ecco che la residenza la si mette in piedi da sé. Un’indicazione, forse, per chi invece non è ospitato, ma vuole mettere in pratica la propria esperienza.

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