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La Domus Aurea, straordinaria testimonianza dell’ambizione dell’imperatore Nerone, continua a rivelare i suoi segreti. Durante recenti indagini archeologiche, gli studiosi hanno riportato alla luce un ritrovamento di grande rilevanza: due vasche utilizzate in fase di cantiere per lavorare i pigmenti destinati alle magnifiche decorazioni parietali del palazzo. Ma il protagonista di questa scoperta è un raro lingotto di blu egizio, un dei colori più preziosi nell’antichità, rinvenuto in condizioni eccezionali.
Un palazzo per il potere e la bellezza
Costruita tra il 64 e il 68 d.C., la Domus Aurea fu concepita da Nerone come un’espressione monumentale del suo potere e del suo gusto estetico. Esteso su oltre 80 ettari, tra i colli Palatino, Esquilino e Celio, il complesso comprendeva sontuosi giardini, padiglioni decorati, un lago artificiale (nell’odierna area del Colosseo, la cui costruzione risale invece al 72 d.C.) e persino una gigantesca statua dorata dell’imperatore, alta più di 30 metri e andata poi dispersa.

Progettata dagli architetti Severo e Celere, la Domus Aurea non era solo una dimostrazione di opulenza, ma anche un laboratorio d’innovazione artistica. Le sue sale erano decorate con affreschi realizzati sotto la supervisione del celebre pittore Fabullus, caratterizzati da motivi fantastici e da un uso rivoluzionario della prospettiva e della luce. Proprio questi dettagli decorativi, insieme all’impiego di materiali preziosi come il blu egizio, sottolineano l’alto grado di specializzazione delle maestranze che lavorarono al cantiere.

Un lingotto di luce: il blu egizio nella Roma imperiale
Con un’altezza di 15 cm e un peso di 2,4 kg, il lingotto ritrovato si distingue per le sue dimensioni notevoli, considerando che il pigmento è solitamente rinvenuto in polvere o in piccole sfere. Questo reperto conferma l’impiego del blu egizio nelle decorazioni della Domus Aurea e getta nuova luce sull’altissima specializzazione delle botteghe artistiche che vi lavorarono.

Il blu egizio, prodotto artificialmente attraverso un processo complesso descritto da Vitruvio nel De Architectura, era apprezzato per la sua brillantezza e versatilità. Gli artisti romani lo utilizzavano per ottenere effetti cromatici unici: donare lucentezza agli occhi, realizzare chiaroscuri nei panneggi o rendere più fredda l’incarnazione delle figure.

Nato nella Mesopotamia e nell’Egitto del III millennio a.C., il blu egizio si diffuse in tutto il Mediterraneo antico, trovando centri di produzione d’eccellenza ad Alessandria d’Egitto e, più tardi, in Italia, come dimostrano i siti di Cuma, Literno e Pozzuoli. A Roma, il ritrovamento di un nucleo così significativo di pigmento in un contesto imperiale ribadisce la raffinatezza estetica e la sofisticata organizzazione delle maestranze della Domus Aurea.

Un filo blu attraverso i secoli
Lo studio dei pigmenti della Domus Aurea potrebbe contribuire a chiarire come il blu egizio abbia influenzato anche i maestri del Rinascimento, tra cui Raffaello, che ne riprese l’uso nelle sue opere, come nel Trionfo di Galatea. Questo straordinario pigmento, dunque, diventa un legame visibile tra le decorazioni imperiali e i capolavori rinascimentali, attraversando secoli di storia con la sua incantevole profondità.
«Il fascino trasmesso dalla profondità del blu di questo pigmento è incredibile», ha commentato Alfonsina Russo, Direttrice del Parco archeologico del Colosseo. «La Domus Aurea ancora una volta emoziona e restituisce la brillantezza dei colori utilizzati dai pittori che abilmente decorarono la stanze di questo prezioso e raffinato palazzo imperiale».